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Tour de France, una sfida infinita vinta da Vingegaard su Pogacar

Vingegaard ha vinto la Grande Boucle con oltre 7 minuti di vantaggio su Pogacar

di Dario Ceccarelli

Tour de France, oggi ancora tappa sulle Alpi

6' di lettura

E adesso? Come faremo senza Tour de France? Come faremo senza questa sfida infinita tra Vingegaard e Pogacar, tra campagne infinite e montagne verticali, alla fine clamorosamente vinta dal danese con oltre 7 minuti di vantaggio? Con questo Tour che già si lega ai giochi Olimpici di Parigi 2024 e che l'anno prossimo, per una volta, ma solo per una volta, salterà l'arrivo della Grande Boucle?

Tour de France, oggi ancora tappa sulle Alpi

Grande Boucle combattuta

Non sarà facile farne a meno, perchè è stato un Tour fantastico, combattuto, pieno di colpi di scena e repentine rivelazioni. Perfino la passerella finale, vinta alla sprint da Meeus ci sembra inedita anche se poi Parigi è sempre uguale a se stessa, con il suo Arco di Trionfo sullo sfondo, con gli eleganti viali parigini che, per una volta, non fanno da cornice a qualche manifestazione di gilet jaunes o giovani arrabbiati contro Macron, che trova anche il tempo di inviare un tweet di congratulazioni a Thibaut Pinot, sfortunato eroe nazionale che per un soffio non vince mai e, a fine anno, saluterà il mondo delle corse.

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La seconda volta di Vingegaard

No, davanti al Tour tutta la Francia si prende una pausa, chiede una tregua. L'unica maglia gialla che conta adesso è quella di Jonas Vingegaard, danese di 26 anni che per la seconda volta consecutiva trionfa al Tour de France dopo aver schiantato un altro fenomeno, quel Tadej Pogacar che a volte sembra imbattibile, un marziano sceso sulla Terra a dimostrare che anche nel ciclismo moderno si può vincere dovunque e in qualsiasi periodo dell'anno.

Però anche il marziano, ancora al Tour, ha trovato uno più forte di lui: questo Jonas Vingegaard, impeccabile in salita, e fortissimo anche a cronometro. E biondo, slavato, con le spalle strette. Pesa solo 60 chili, quasi tutto ossa e tendini. Eppure nella parte verticale del Col de la Loze, dove ha asfaltato Pogacar, è stato capace di sprigionare una potenza di 7,6 Watt /chilo, un valore pazzesco che ha lasciato di stucco biologi e stregoni della medicina. Per non parlare della cronometro di Combloux, dove il danese in 22 chilometri ha rifilato 1 minuto e 48” al rivale Tadej, uno che a cronometro è una freccia.

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Le prodezze del danese

Ancor più clamoroso il distacco di quasi 3 minuti subìto da Van Aert, un altro specialista delle corse contro il tempo. E così il grande dilemma di questo Tour è stato: come ha fatto Vingegaard a realizzare questi exploit? Anche lui viene da Marte? O da Saturno? Anche lui è un gigante con una forza sconosciuta che gli rende facile quello che per altri è impossibile?

Come vedete sono tanti gli argomenti che ci lascia questo Tour che chiudendo i battenti e ci regala comunque una certezza: questi due, Vingegaard e Pogacar, ce ne faranno vedere ancora delle belle. Due rivali incredibili, fatti apposta per darsele di santa ragione. Adesso sono 2-2, cioè sono in pareggio. Lo sloveno ha vinto nel 2020 e nel 2021, il danese l'anno scorso e in questa edizione.

Le prodezze di Pogacar

Però tutto è ancora aperto anche se una cosa è chiara: che cioè se Pogacar vuole ancora vincere il Tour (ha solo 24 anni) deve cambiare il suo percorso di avvicinamento. Deve insomma programmare meglio i suoi obiettivi. Certo, il fascino di Tadej è proprio in questa sua smisurata voracità che gli ha permesso di vincere due Tour, due Giri di Lombardia, una Liegi e un Giro delle Fiandre, oltre a 2 Tirreno-Adriatico e una Parigi Nizza.

Un mostro se si pensa alla sua ancora giovane età. Eppure con un avversario come Vingegaard, fortissimo in salita e a cronometro, dovrà studiare un approccio diverso. Un approccio che disperda meno le sue enormi potenzialità. Molti si chiedono se sulla sua crisi della terza settimana abbiano influito il mese di stop per la frattura al polso o la primavera di grandi vittorie. Oppure entrambe le cose. Difficile a dirlo.

Le giornate nere dello sloveno

Può anche darsi che Pogacar sia incappato in due giornate nere proprio nel momento decisivo del Tour. Può darsi, certo. Tanto è vero che nella penultima tappa, quella del Ballon d'Alsace, lo sloveno per riscattarsi dai suoi giorni neri ha vinto in volata davanti a Gall e a Vingegaard che ha fatto di tutto per non farsi precedere dal rivale.

Comunque sia, se in futuro vuole riconquistare la maglia gialla, lo sloveno deva cambiare qualcosa. Darsi delle regole. Non disperdersi in mille attacchi. Programmare bene il Tour, insomma. Che vuol dire non lasciare nulla al caso. Lo stesso Eddy Merckx, che se ne intende, ha detto che «Vingegaard è più forte in salita, mentre Pogacar è un campione completo». Ma questa sua “completezza”, che tanto piace ai buongustai del ciclismo, è un'arma a doppio taglio che deve saper gestire senza sprecare inutili energie.

Prestazioni record di Vingegaard

Un tema importante, per non fare le anime belle, è quello delle prestazioni record di Vingegaard. Qualcuno ha storto il naso ricordando che il danese ha superato dei primati che appartenevano alla generazione di 30 anni fa, quella col marchio del doping inciso sulla pelle, quella di Armostrong e compagni, una generazione di pseudo fenomeni che ha fatto terra bruciata creando intorno al ciclismo un costante e giustificato clima di sospetto. Non ancora cancellato.

La maglia gialla, Vingegaard, però non ha svicolato. Non si è sottratto alle domande. Anzi è stato proprio il danese a squarciare il velo di diffidenza che si stava creando intorno ai suoi primati. «Dovete sempre dubitare delle mie prestazioni e verificarle, solo lo scetticismo può salvare il ciclismo, perché non torni ad essere quello del passato, prigioniero dei bari» ha detto con orgoglio la maglia gialla. Parole importanti che suonano come una sfida. Come a dire: basta coi pregiudizi, il passato è passato. Vigilate pure, anzi ne sono contento. Almeno così non si potrà dire che ho vinto imbrogliando…

I continui controlli antidoping

Ebbene, si può dubitare delle vittorie di Vingegaard? Anche se un po' di sano scetticismo non fa mai male, allo stato delle cose non si può dir nulla. Il danese è in regola. In piena regola. Con una trasparenza invidiabile visto che è stato sottoposto in 20 giorni a continui controlli sul sangue e sulle urine (oltre 2 litri). Lo stesso per Pogacar.

Finora non è emerso nulla, anche se gli ultimi risultati arriveranno a metà della prossima settimana. Comunque i controlli che vengono fatti ai corridori, specialmente a chi vince, sono rigorosissimi. E i risultati di questi controlli vengono inseriti nel passaporto biologico di ogni atleta per i prossimi 10 anni.

Aggiungiamo, per i diffidenti incalliti, che anche la bicicletta del danese è stata sottoposta a mille controlli per verificare con onde magnetiche e raggi x se ci sono tracce di motori o dispositivi di assistenza alla pedalata. Insomma, se è giusto essere diffidenti, è anche giusto riconoscere che questa generazione di corridori viene sottoposta a dei test che atleti di altri sport neppure si sognano.

I controlli nel ciclismo

Vogliamo parlare del calcio? Del tennis? Dove pure si fanno degli sforzi prolungati e intensissimi? Qualcuno storce il naso di fronte alle imprese di Alcatraz o Djokovic?

Purtroppo il ciclismo, per responsabilità sue, si porta dietro una nomea davvero difficile da rimuovere. Però è anche giusto prendere atto che qualcosa è cambiato. Che quel clima da” liberi tutti” di 25 anni fa è stato spazzato via. Però sempre vigilando e ricordando una massima ancora valida: che il doping, spesso, corre più veloce, dell'antidoping.

E' stato davvero uno splendido Tour. Sempre aperto, sempre combattuto, sempre col diavolo in corpo. Non ci siamo mai annoiati. Lode a Vingegaard, campione straordinario anche nella capacità di soffrire e di non cedere mai. Bravo anche a Pogacar, perché ha saputo perdere con dignità e orgoglio. Bravi anche i due gemelli Yates: Adam terzo e Simon quarto.

Una grande rivalità

Tornando a Pogacar, quando si vince è facile essere sportivi. Quando si perde, un po' meno. E lo sloveno si è dimostrato all'altezza del suo ruolo anche nella sconfitta. E' una bella rivalità che darà lustro al ciclismo anche nel futuro. Colpisce che entrambi vengano da due nazioni senza grandi tradizioni ciclistiche e con pochi milioni di abitanti.

Questo ci porta all'Italia, quasi all'anno zero del ciclismo su strada. Al Tour siamo andati in 7 e arrivati in 6. L'unico soddisfazione ce l'ha data Giulio Ciccone che ha conquistato la maglia a pois del miglior scalatore. L'ultima volta l'aveva indossata Claudio Chiappucci 31 anni fa.

Però Chiappucci era il “Diablo”. Un campione che al suo esordio al Tour nel 1990 arrivò secondo dietro a un campione come Greg Lemond. Piano quindi con i paragoni.

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