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Tour di Lione, fra arte internazionale e degustazioni italiane

Sam Bardaouil e Till Fellrath, curatori della XVI edizione della Biennale, svelano l'anima della città fra palazzi brutalisti, anfiteatri romani e destinazioni gourmet.

di Stefano Castelli

Sam Bardaouil e Till Fellrath, curatori della XVI Biennale di Lione. ©Blandine Soulage.

3' di lettura

Lione è più di una città. È un'idea, una storia intessuta di seta e di sangue, di invenzioni e di malattie, di intrighi e di rivoluzioni… un'infinità di anfratti che evocano altrettante storie, alcune raccontate, altre taciute. Durante le nostre visite per preparare la Biennale ce ne siamo innamorati. L'abbiamo fatta nostra, è diventata la nostra casa, ci ha aperto al resto del nostro mondo. La Croix-Rousse è il luogo dove i canuts (setaioli) lionesi avevano i loro fornitori. Nelle settimane di preparativi della Biennale, mentre scavavamo in storie complesse e stratificate, a volte turbolente, ma sempre e comunque affascinanti, la migliore conclusione della giornata era una pizza cotta nel forno a legna da Maria. Pizza napolitaine. In questo quartiere un po' isolato si trova anche un mercato di frutta e di verdura, crauti e couscous: una fotografia dai colori vivaci. E al termine della Grande Rue de la Croix-Rousse ci si ritrova in un cinema gestito da volontari, l'ormai centenario CIFA St Denis, classificato cinema d'arte e d'essai nel 1995.

Il cinema CIFA St Denis. ©P Louis/wikimedia commons

Poi ci sono le Usines Fagor, una delle sedi principali della Biennale. La fragilità che noi evochiamo nella mostra è anche quella delle economie e delle società (molti degli artisti propongono storie legate ai fallimenti del capitalismo, era doveroso rendere omaggio agli operai che qui lavorarono). Ma qui si svolgono numerosi eventi culturali e aziendali, ad esempio non vediamo l'ora di vedere, l'anno prossimo in settembre, la sezione expérience della Biennale della danza, immaginata e sviluppata dal nuovo direttore Tiago Guedes. Sempre nel 7ème arrondissement, Casa Nobile Mare è diventata un indirizzo fisso durante le settimane di allestimento. Situata in un vecchio capannone, è una trattoria italiana familiare (anche se enorme), specializzata in prodotti di mare. Una delizia.

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In scena alla 19e Biennale de la danse, “Room With a View”. ©Blandine Soulage.

Quando siamo entrati la prima volta al Musée Guimet è come se il tempo si fosse fermato. Un luogo magico, con i suoi arredi in legno e la grande sala al primo piano: 15 anni fa, vi si trovava lo scheletro di un mammut, oggi, per la Biennale, Ugo Schiavi vi ha immaginato un paesaggio ibrido dove i cavi si mescolano con la vegetazione. Che cosa c'è di meglio della fragilità di un museo abbandonato e chiuso da più di 15 anni per riflettere sulle utopie fallite, le storie distorte e la promessa di nuove partenze? Non può mancare poi la città vecchia, dalla Basilica di Fourvière fino a Rue de la Quarantaine: una meraviglia di architetture, di stili, di colori. Ci si sente grandi e potenti sulla spianata all'ombra della Basilica e si ritorna piccoli e umili nell'Anfiteatro Romano, dove si incrociano la storia con la S maiuscola dei nostri avi e l'edificio brutalista di Bernard Zehrfuss (il Lugdunum). Le viette a zig-zag, i traboules (passaggi coperti) dal colore rosa stinto, il pavé che fa inciampare i turisti, i bistrot, i bouchons (ristoranti tipici lionesi) fanno del Vieux Lyon una vera e propria città a parte.

La città vecchia e i suoi traboules.

Il polmone della città è il Parc de la Tête d'Or, luogo d'incontro per persone di ogni età e di ogni estrazione sociale. Le serre del Giardino botanico accolgono piante locali, ma anche numerose specie tropicali ed equatoriali che ispirarono alle seterie della città motivi esotici e che si ritrovano nell'identità grafica di questa Biennale. Nei pressi della Place des Terreaux si risponde poi al richiamo dell'aperitivo. Noi abbiamo provato il Broc'Bar, non lontano dalla chiesa di Saint Nizier. All'ombra di un albero che sembra centenario, c'è questo piccolo bar posto all'incrocio di tre vie, e si sta benissimo! A pochi passi, abbiamo scovato per caso i deliziosi dolci senza glutine e senza lattosio di Grégoire. E, per i dischi in vinile, Sofa Records, vera caverna di Alì Babà piena di tesori.

Place des Terreaux.

In occasione dell'arrivo di Filwa Nazer (artista invitata alla Biennale), che ha soggiornato qui, abbiamo scoperto la Maison Nô con il suo rooftop. La vista dall'ultimo piano di questo edificio haussmaniano abbraccia la Basilica di Fourvière, le torri della Part-Dieu, la cupola dell'Opéra, le torri campanarie dell'Hôtel de Ville, la Chapelle de la Trinité e la Borsa. Un quadro “firmato” da tutti questi edifici: magico! Un altro ristorante che consigliamo, “italiano vero”, che non si limita ai classici, è Veronatuti; per una serata piacevole a base di vino e piccoli piatti c'è Le Troquet des Sens - il servizio è ottimo; una sosta che ci ha ricaricati è alla cantina Jaja. Aspettiamo infine con impazienza la Fête des Lumières, in dicembre, durante la quale gli abitanti posizionano centinaia di candele alle loro finestre. In più, spettacolari opere luminose accendono gli edifici emblematici della città: l'arte a cielo aperto è un appuntamento imperdibile a Lione.

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