Tra crisi ucraina e caro energia, quanto conta l’atlantismo nella scelta per il Colle?
I venti di guerra che soffiano dall’Ucraina ricordano che all’Italia serve un o una Presidente della Repubblica chiaramente europeista, atlantista, senza ombre di ambiguità nel rapporto con la Russia. Ecco quanto questo elemento ha contato nell’elezione degli ex presidenti
di Gerardo Pelosi
I punti chiave
- La sconfitta del filoatlantico conte Sforza
- Gronchi: quel brindisi amaro con Kruscov a Mosca
- Segni e la paura dello spostamento a sinistra
- Saragat primo socialista al Quirinale ma vicino agli Usa
- Leone: “O sole mio” a Little Italy
- Il Pertini filo argentino per le Falkland
- Cossiga: da “Stay behind” al crollo del muro
- Scalfaro: sulle macerie di Capaci
- Ciampi: l’Europa come stella polare
- Napolitano, primo comunista con visto Usa
- Mattarella, la ricucitura con la Francia e la vicinanza ai Balcani
6' di lettura
In tutte le grandi capitali, da Washington a Mosca a Pechino il coro è unanime: “non entriamo mai in questioni di politica interna di un altro Paese. Per noi vige il principio sacro della non ingerenza”. Insomma, il dibattito interno che dovrà portare prima o poi a un accordo sul nome del nuovo presidente della Repubblica viene osservato con distacco dalle cancellerie internazionali. Ma è veramente così? Se qualcuno (come il segretario del Pd Enrico Letta) in queste ore ha messo in dubbio la fedeltà atlantica di Frattini considerato troppo “filorusso” per escluderlo da una corsa al Quirinale, evidentemente i rapporti internazionali dei candidati alla presidenza hanno ancora un loro peso decisivo.
La responsabile Esteri del Pd, Lia Quartapelle, lo ha chiarito bene: «la scelta del Presidente della Repubblica non ha solo ricadute interne – ha detto - i venti di guerra che soffiano dall’Ucraina ci ricordano che all’Italia serve un o una Presidente della Repubblica chiaramente europeista, atlantista, senza ombre di ambiguità nel rapporto con la Russia». La Quartapelle sottolinea come oggi in politica estera sia “del tutto saltata la dimensione politica” sostituita dal rapporto personale e dalle relazioni economiche. Un esempio lampante, l'onorificenza dell'Ordine della Stella d'Italia concessa poche settimane fa da Mattarella su proposta del ministro degli Esteri Di Maio all'oligarca russo vicino a Putin Andrey Kostin, che in passato Navalny stesso aveva accusato di uso di fondi pubblici per fini privati sanzionato da Usa e Canada.
Ma andiamo con ordine guardando anche al passato.
La sconfitta del filoatlantico conte Sforza
Già nelle prime elezioni per la presidenza della Repubblica del '48 in un clima di scontro frontale tra sinistra e Democrazia cristiana il nome del candidato di De Gasperi, il conte Carlo Sforza di idee repubblicane che da ministro degli Esteri aveva guidato la diplomazia italiana verso l'Europa e la Nato rimase vittima dei franchi tiratori della stessa Dc che lo vedevano troppo filoatlantico (e anche troppo laico e “libertino”) agli occhi di personalità come La Pira e Dossetti intrise di velleità terzomondiste. Un'opposizione che condividevano con le sinistre che non perdonavano a Sforza la sua fedeltà agli Stati Uniti (e Togliatti, che pure lo stimava quando i comunisti erano al Governo non gli perdona nulla).
Gronchi: quel brindisi amaro con Kruscov a Mosca
Nel febbraio del 1960 Giovanni Gronchi da cinque anni al Quirinale negli anni del boom economico della firma in Campidoglio dei Trattati istitutivi della Comunità eurepa e del centrismo atterra a Mosca per la prima visita di un capo di Stato nell'ex Urss. Lo scontro tra i due blocchi porterà di lì a qualche mese alla costruzione del muro di Berlino. Krusciov considera Gronchi un emissario dell'Occidente alla vigilia di un possibile incontro con Eisenhauer “Non è ammissibile che coloro che sono stati completamente battuti a Stalingrado ed alle porte di Mosca vengano oggi a dettarci legge» tuona Krusciov. Ma nel brindisi all'ambasciata italiana Krusciov mette da parte ogni formalismo diplomatico e spiega che nel 1965-1967 “diventeremo la prima potenza mondiale». Invita quindi il presidente della Repubblica italiana a riflettere sulla opportunità di iscriversi al partito comunista. Gronchi ricambia l'augurio: «Che tra qualche anno l'invito possa essere rovesciato e che anche voi, toccato dalla grazia di Dio, possiate essere annoverato tra le file della Democrazia cristiana». Lo scambio di battute continua fintanto che il capo del cerimoniale ambasciatore Fracassi (aiutato da due giovanissimi diplomatici, Renato Ruggiero e Francesco Paolo Fulci) fendendo la folla assiepata intorno a Gronchi e Krusciov alza il calice al grido “viva la pace”.
Segni e la paura dello spostamento a sinistra
C'è molta politica estera anche negli anni di Segni tra il '62 e il '64. Le tensioni politiche internazionali e l'on l'inasprirsi della Guerra Fredda entrano di prepotenza negli affari istituzionali interni. Il boom economico rallenta nel frattempo e si creano le basi per future tensioni sociali, esplose poi con i movimenti del '68 e degenerate nella lotta terroristica. Gli Stati Uniti temono uno spostamento a sinistra di un alleato importante che si trova al confine con il blocco dell'Est. Sono i mesi del cosiddetto Piano Solo del generale De Lorenzo nell'evenienza di un attacco alle istituzioni da parte delle forze di sinistra. Aldo Moro era alla guida di una coalizione di centrosinistra assieme alle forze socialiste (Psi e Psdi) e dal Partito repubblicano. Durante un colloquio al Quirinale con Moro e Saragat ministro degli Esteri che chiedono chiarimenti sul piano di De Lorenzo Segni viene colpito da ictus.
Saragat primo socialista al Quirinale ma vicino agli Usa
Tra il '64 e il '71 Giuseppe Saragat è il primo socialista ad approdare al Quirinale. Alla fine della guerra Saragat era stato inviato, come ambasciatore a Parigi (dove era stato in esilio durante il fascismo) per preparare il terreno per la conferenza di pace dove l'Italia sarebbe stata trattata da nemico sconfitto. Gli anni di Saragat raccontano di una forte vicinanza agli Stati Uniti senza dimenticare il sostegno alla nuova fase che si apre dopo il Concilio vaticano secondo nelle forze cattoliche.
Leone: “O sole mio” a Little Italy
Era un professore di diritto penale Giovanni Leone coinvolto (ma poi scagionato) nell'affare delle tangenti Lokheed. La politica estera di Leone tra il '71 e il '78 prevedeva molti bagni di folla tra immigrati italiani, canzoni napoletane a Little Italy ma poco di più. L'Italia complice il secondo schock petrolifero stava irreversibilmente scivolando verso gli “anni di piombo”. Ma sono anche quegli stessi anni in cui l'Italia si guadagna una sua centralità nella politica del Mediterraneo anche per mezzo di quel “patto con diavolo” raggiunto con le organizzazioni per la liberazione della Palestina che metteranno al riparo l'Italia per molti anni da attentati terroristici.
Il Pertini filo argentino per le Falkland
C'era molta sana retorica pacifista del vecchio partito socialista nel settennato di Sandro Pertini iniziato nel luglio '78, pochi mesi dopo il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. L'Italia in quel momento si misura ancora con azioni del terrorismo e della strategia della tensione (attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.) Nell'82 Pertini non nasconde le sue simpatie per l'Argentina nella guerra per le Falkland con il Regno Unito.
Cossiga: da “Stay behind” al crollo del muro
Se c'è un presidente che può incarnare il meglio dell'oltranzismo atlantico quello è sicuramente Francesco Cossiga. Prima della fase da picconatore tra l'85 e il '92 Cossiga svolge un ruolo cruciale a fianco degli Stati Uniti anche per il suo ruolo riconosciuto nelle organizzazioni Nato contro il blocco sovietico come Gladio. Ma è sempre lui presidente della Repubblica a ricevere Gorbaciov a Roma nell'autunno dell'89 poco prima che il muro di Berlino cada definitivamente.
Scalfaro: sulle macerie di Capaci
L'elezione dell'ex ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro è del '92 subito dopo l'attentato di Capaci che costò la vita al giudice Falcone. Un'Italia vittima delle mafie aveva poco tempo per guardare fuori dal suoi confini ma in più di un'occasione si capì che quanto avveniva a Palermo Roma era spesso governato da mani esterne anche molto lontane.
Ciampi: l’Europa come stella polare
Dal '99 al 2006 sono gli anni in cui quasi tutto lo sforzo del Quirinale è indirizzato alla costruzione europea e al raggiungimento dell'ingresso nell'Euro. Un impegno costante quello di Ciampi cominciato già in Banca d'Italia e proseguito poi da ministro del Tesoro e da capo del Governo. Io suo ruolo di moral suasion a favore di un europeismo concreto ha modo di svilupparsi al meglio durante il secondo Governo Berlusconi intriso di forze antieuropeiste guidate da Tremonti e Bossi e che, nel gennaio del 2002 in coincidenza con l'adozione in Italia dell'Euro portarono alle dimissioni polemiche del ministro degli Esteri Renato Ruggiero.
Napolitano, primo comunista con visto Usa
Dal 2006 al 2015 il settennato e poi la proroga dei due anni vede salire al Quirinale il primo ex comunista anche se “migliorista”. Era stato nel'78 il primo comunista ad avere ottenuto dall'ambasciatore americano a Roma Dick Gardner il visto per gli Stati Unit concesso a un dirigente comunista. Tutti i think tank americani gli riconoscevano grande competenza e lucidità di analisi politica. Non era più un soggetto da mettere all'indice come pericoloso ma da ascoltare sulle vicende europee ed italiane. Prosegue il lavoro di Ciampi con gli altri Stati membri e le istituzioni europee a favore di un completamento dell'Unione politica della Ue.
Mattarella, la ricucitura con la Francia e la vicinanza ai Balcani
il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia firmato a fine novembre tra Mattarella e Draghi con il presidente francese Emmanuel Macron suggella il lavoro certosino di ricucitura svolto da Mattarella dopo la crisi diplomatica successiva alle posizioni della Lega e dei grillini contro il Governo francese a favore dei gilet gialli. Meno noto è il lavoro di Mattarella per sottrarre molti Paesi dei Balcani dalla sfera di influenza di Mosca. Rientra in questo quadro anche la pacificazione con la Slovenia sulla vicenda delle foibe. Atlantismo ed europeismo sono rimaste per Mattarella l'unico vero destino dell'Italia.
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