Tra Europei e Olimpiadi scatta il Tour de France: Pogacar punta al bis, Roglic cerca il riscatto
La macchina della Grande Boucle si mette in moto: 200 Paesi collegati in tv, con ricavi di circa 160 milioni e una enorme passione popolare
di Dario Ceccarelli
6' di lettura
In questa calda estate dello sport, cominciata con gli Europei di calcio e che culminerà con le Olimpiadi di Tokyo (23 luglio-8 agosto), sta per mettersi in moto (sabato 26 giugno-domenica 18 luglio) un altro gigante sportivo itinerante che da sempre incatena il cuore degli appassionati: il Tour de France, il più grande evento ciclistico globalizzato del Novecento e del nuovo Millennio.
Uno straordinario rito popolare, seguito in televisione da circa 200 Paesi, con ricavi di circa 160 milioni (50% dai diritti tv, 40% dalle sponsorizzazioni) di cui 2,4 vanno in premio ai ciclisti, che trae però alimento dalla straordinaria passione che i francesi nutrono per la Grande Boucle. Facendo un grossolano confronto, mentre il Giro d'Italia (fatturato 60 milioni) resta soprattutto una importante corsa sportiva, con molte ramificazione regionali, il Tour è un caposaldo della storia francese. Non a caso ogni presidente - l'ultima volta Macron - cerca sempre di seguire personalmente qualche tappa significativa.
Grande simbolo francese
Il Tour è in Tour, dicono i francesi. Un simbolo della grandeur, di una tradizione di cui sono molto orgogliosi. Come il Bordeaux, la Marsigliese, la Tour Effeil, la baguette o il Roquefort. Anche chi non capisce nulla di ciclismo, vuole comunque partecipare a questa kermesse semovente che per tre settimane attira milioni di spettatori in festosa attesa di una carovana che sembra infinita.
I corridori infatti sono preceduti da un gigantesco show pubblicitario che cattura l'attenzione del pubblico con spettacoli itineranti, distribuzione massiccia di gadget, magliette e cappellini della squadre più importanti. L'ultimo Tour, corso in “bolla” per la pandemia, era stato sacrificato alle ragioni della sicurezza. Con il pubblico tenuto lontano dai corridori agli arrivi e alle partenze. Oggi con il virus in ritirata, e il crescente effetto delle vaccinazioni, il cordone sanitario sarà meno rigido. Ma sempre garantito da migliaia di agenti e addetti all'organizzazione.
Quanto ai corridori, le squadre saranno escluse se due dei loro ciclisti risulteranno positivi nell'arco di sette giorni, ha precisato l'Uci. I test saranno effettuati nei due giorni di riposo e dopo la quinta tappa.
Un Tour secondo la tradizione
Ma che Tour sarà? Come tutti i Tour, abbastanza “tradizionale”, in linea coi precedenti. Con solo tre arrivi in salita, molte tappe che sembrano delle classiche e due cronometro che assommate contano 58 chilometri, divisi tra i 27,2 della prima tappa e i 30,8 al penultimo giorno. Qui si nota un cambiamento perchè nel 2020 c'è stata solo una crono con finale in salita a a La Planche des Belles Filles, una frazione di 36 chilometri che provocò la detronizzazione di Roglic a favore del giovane rivale Pogacar, che a soli 22 anni vinse il primo Tour della sua carriera.
In totale ci sono 21 tappe, per 3414 km di percorso, con partenza da Brest, cioè dal cuore della Bretagna, con quella luce infinita dell'estate atlantica, per arrivare a Parigi il 18 luglio. Si va in senso “orario”, cioè dal Nord si scende orizzontalmente verso le Alpi (due tappe, con un arrivo in salita a Tignes) per poi spostarsi sui Pirenei con i traguardi in quota sul Portet e a Luz Ardiden. I Pirenei condizioneranno di più la corsa, anche se non va dimenticata la tappa del Mont Ventoux (11 luglio). Il Monte Calvo sarà scalato due volte con arrivo a Malaucene. Di solito, soprattutto per il caldo, questa è una tappa significativa. Inutile ricordare che fu il teatro della tragica fine nel 1967 di Tony Simpson, il corridore inglese ucciso da un micidiale cocktail di alcool e anfetamine. Per stare a tempi più recenti, e meno drammatici, viene in mente nel 2016 l'indimenticabile corsa a piedi di Chris Froome dopo lo scontro con una moto.
Italiani ridotti al lumicino
Prima di parlare dei favoriti (Pogacar, Roglic, Thomas, Carapaz) serve un breve focus sulla spedizione italiana. Che non brilla per numero di partecipanti. Su 184 corridori al via (8 per 23 squadre) solo nove sono azzurri. Quasi un record al contrario: per risalire a un numero così ridotto bisognare andare al 1984. Era il tempo che gli italiani se ne stavano alla larga dalla corsa francese. Di quel gruppo ricordiamo Roberto Visentini, Giovanni Battaglin, Bruno Leali e Giancarlo Perini. Arrivarono a Parigi solo in cinque. Il primo dei nostri (Luciano Loro) terminò con più di 50 minuti dalla maglia gialla Laurent Fignon.
Per quattro volte -1973, 1978, 1980 e 1981 - nessun italiano si è presentato al Tour. Bisognerà aspettare gli anni ’90, con Bugno e Chiappucci, per tornare a farci rispettare. I numeri attuali ci riportano, forse in peggio, a quel periodo. Siamo pochi, e nemmeno tanto buoni. A parte il tricolore Colbrelli, e Nibali, gli altri sono dei buoni gregari (Ballerini, Cattaneo, Formolo, Guarinieri, Oss, Rota Sbaragli) che corrono per i capitani delle grandi formazioni estere. Un altro dato inquietante è che nel 1984 le squadre al via erano 17, con gli italiani tutti inseriti nella Carrera. Oggi le formazioni al Tour sono 23 senza nessuna squadra italiana. Sono brutti segnali. Che riflettono lo scarso interesse degli sponsor e delle nostre grandi aziende al ciclismo agonistico. Resta però una radicata diffidenza per un burrascoso passato che ha lasciato troppo ferite.
Ci manca un campione
L'altro guaio è che ci manca un campione per le grandi corse a tappe. Fabio Aru, sempre più alla deriva per vari problemi fisici e mancanza di risultati, ha già dato forfait. Restiamo quindi aggrappati a Nibali, ma ormai San Vincenzo ha smesso di fare miracoli. Sono passati sette anni da quando, nel 2014, arrivò a Parigi con la maglia gialla. Fu l'apice della sua carriera. Ora correrà in funzione delle Olimpiadi. Se i risultati sono buoni (e lo si vedrà già nelle due prime tappe in Bretagna) Nibali lascerà il Tour per unirsi agli azzurri di Davide Cassani che sabato 17 luglio partiranno per Tokyo.
Lascia l'amaro in bocca vedere che i due favoriti (che nel 2020 arrivano primo e secondo) sono il 22enne Tadej Pogacar e il 31enne Primoz Roglic, entrambi corridori sloveni, Paese che conta non più di due milioni di abitanti ma dove lo sport gode di un attenzione -soprattutto nelle scuole - che noi ci sogniamo. Negli anni Ottanta, per fare un paragone, l'intera Jugoslavia non aveva un solo corridore. I tempi cambiano, il ciclismo si globalizza, le nazioni rappresentate al Tour ora sono 27 con corridori che parlano tutti inglese in modo corretto. I casi sono due: o ci aggiorniamo rapidamente, oppure diventeremo un Paese periferico per il grande ciclismo.
I favoriti della vigilia
Tornando al Tour 2021, oltre Pogacar, dato in grandissima forma (ha già vinto una Liegi-Bastogne-Liegi e il Giro dello Slovenia) gli altri big da tenere d'occhio sono il britannico Geraint Thomas di 31 anni, maglia gialla nel 2018, e l'ecuadoriano Richard Carapaz, primo al Giro 2019. Entrambi corrono per il Super Team Ineos. Quanto a Primoz Roglic, deve riscattare la sconfitta di un anno fa. Non corre da due mesi, ma quando ha un obiettivo arriva sempre sul podio.
Suscita curiosità il debutto di Mathieu van der Poel, 26 anni, figlio del campione olandese Adrie, e nipote del leggendario Raymond Poulidor, il rivale storico di Jacques Anquetil, due volte secondo al Tour, ma mai maglia gialla. Mathieu, specialista di cross e mountain bike, ma molto temuto anche su strada (nel 2021 ha vinto Strade Bianche e due tappe alla Tirreno Adriatico e al Giro della Svizzera), punta a una partenza col botto dalla prima tappa di Brest. Con un obiettivo: conquistare quella maglia gialla che, per un motivo o per l'altro, era sempre sfuggita al celebre nonno. «È sempre stato il mio eroe, prima che mancasse gli avevo promesso che gli avrei portato la maglia gialla», ripete Mathieu, che però non arriverà sui Campi Elisi per andare a Tokyo alla gara di mountain bike.
Ultimo, ma non ultimo, Chris Froome. Il Keniano bianco, vincitore di 4 Tour, torna in corsa dopo uno stop di 2 anni per un gravissimo infortunio al Giro del Delfinato. «Non sono ancora pronto per competere, porterò borracce», ha detto Froome per schermirsi. Non sarà facile. A 36 anni, dopo la batosta che ha avuto, già arrivare a Parigi sarebbe un'impresa. La sua storia e la sua tenacia meritano comunque rispetto. Chapeau.
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