Tra scatole (societarie) e traslochi, l’eredità moltiplicata in 20 anni
L’Avvocato e l’impero delle partecipazioni
di Marigia Mangano
5' di lettura
Il 24 gennaio del 2003, il giorno della scomparsa di Giovanni Agnelli, Fiat group valeva in Borsa 3,3 miliardi di euro. Oggi, 20 anni dopo quell’evento che ha segnato il passaggio di consegne dall’Avvocato al nipote Yaki, i pezzi più pregiati di quel grande contenitore che era il Lingotto valgono tutti insieme più di 100 miliardi.
In questo numero si sintetizza la storia più recente della vecchia Fiat, quella orfana di Giovanni Agnelli. Una crescita di valore senza precedenti, possibile grazie a capolavori finanziari come lo spin off di Ferrari realizzati nell’era di Sergio Marchionne, ma anche grazie a scelte industriali forti, che portano la firma di John Elkann, come il matrimonio di Fca con Psa che ha dato vita al quarto gruppo mondiale del settore auto, Stellantis.
Il confronto tra passato e presente, la sovrapposizione del portafoglio della vecchia Ifi-Ifil a quello di Exor, l’evoluzione dell’assetto proprietario dalla italianissima Giovanni Agnelli & c Sapaz a quello dell’olandese Giovanni Agnelli Bv racconta molto degli ultimi 20 anni dell’impero della dinastia sabauda. Nei numeri e negli equilibri.
Nel 2003 il gruppo che faceva capo alla famiglia Agnelli si sviluppava su tre livelli. La Giovanni Agnelli & C Sapaz, all’epoca controllata al 31,87% da Giovanni Agnelli, aveva il 100% del capitale ordinario della finanziaria Ifi che a sua volta deteneva la vecchia Exor e il 62% di Ifil, il contenitore a cui faceva capo il 30% di Fiat group e una serie di partecipazioni finanziarie. In Fiat erano concentrati insieme all’auto, i trattori di Cnh, Iveco, Ferrari, società che nel corso degli anni si sono trasformate e hanno avviato un percorso autonomo capace di generare svariati miliardi di euro di creazione di valore. Utile in proposito è guardare l’andamento del Nav, ovvero la somma del valore netto delle partecipazioni, della vecchia Ifi e di Exor, rispettivamente holding di controllo dell’impero dell’Avvocato e di quello del suo successore.
Nel 2003 la finanziaria Ifi registrava un Nav di 1,2 miliardi, oggi la Exor di John Elkann esprime un valore netto delle partecipazioni vicino ai 30 miliardi. In altre parole, Exor è stata capace di moltiplicare in vent’anni per 25 volte l’eredità lasciata da Giovanni Agnelli. Un numero che assume ancor più significato se si pensa che nello stesso arco di tempo l’indice Msci World si è moltiplicato “solo” per 3 volte e mezzo.
L’identikit dell’Exor moderna parla così di una holding che vale più di 17 miliardi. Alla sua nascita, nel marzo del 2009 con la fusione di Ifi, Ifil e altre società della famiglia Agnelli, in Borsa vedeva i titoli valere meno di 6 euro. Ha lasciato a settembre scorso piazza Affari per traslocare alla Borsa di Amsterdam con una quotazione di 60 euro circa che nel frattempo è arrivata 71. Nel 2009 il Nav di Exor era di 3,1 miliardi, oggi è di 29,9 miliardi di euro. A livello di composizione dieci anni fa il portafoglio era per il 62% concentrato in quattro grandi società: Fiat Group (29%), Sgs (19%), C&W (9%) e Intesa Sanpaolo (5%), con il 38% che proveniva da altre partecipazioni. Oggi, solo una di queste 4 società è ancora nel portafoglio di Exor, Fiat, ma non nella sua interezza perché nel frattempo ha dato vita a quattro partecipazioni chiave: Stellantis, Ferrari, Cnh Industrial, Iveco che tutte insieme valgono in Borsa più di 100 miliardi. Nel mezzo la scelta di diversificare gli investimenti, dal lusso all’editoria e alla riassicurazione. E le operazioni già chiuse, come la parentesi Partner Re, hanno garantito un guadagno netto di 3,2 miliardi di dollari, risorse che hanno portato a 9 miliardi di euro le disponibilità liquide della holding.
Guardando alla partecipazione più significativa dell’impero della famiglia Agnelli, la Fiat auto degli anni 2000, il confronto con la realtà che è diventata è ancor più significativo. Nel 2003 Fiat auto generava 22 miliardi di ricavi, con 49mila dipendenti, in un sistema di 27 fabbriche che producevano 22 modelli per quattro marchi. Stellantis solo nei primi 9 mesi del 2022 ha registrato un giro d’affari di 130 miliardi, vanta 280mila dipendenti sparsi in oltre 100 fabbriche che producono altrettanti modelli. Un gigante dell’auto che vale in Borsa più di 45 miliardi di euro.
Questa scala di valori e questa distanza tra ieri e oggi, si replica anche guardando alla ricchezza della famiglia e degli eredi dell’Avvocato. Qui entra in gioco il valore riconosciuto alla Dicembre di Gianni Agnelli e a quella di John Elkann. La Dicembre è la società che fa capo al ramo di Gianni Agnelli e dei suoi eredi. Oggi è controllata da John Elkann al 60%, mentre il restante 40% è di proprietà dei fratelli Lapo e Ginevra Elkann. Questa società è l’azionista più forte con una quota del 38% della Giovanni Agnelli Bv, a cui fa capo il controllo di Exor e del relativo impero fatto di Stellantis, Ferrari, Cnh, Iveco, Gedi, la Juventus e altre partecipazioni nel lusso.
Nella storia della Dicembre ci sono state due compravendite che aiutano a ricostruire l’evoluzione del valore di quello che, per definizione, rappresenta il tesoro degli eredi di Gianni Agnelli. Si tratta dell’atto con cui Marella Caracciolo, moglie di Gianni Agnelli, comprò la quota della figlia Margherita, un passaggio oggi al centro di una disputa famigliare che coinvolge l’intera eredità, e la successiva cessione da parte della nonna della nuda proprietà della sua quota ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra.
Il 5 aprile del 2004 davanti al notaio Ettore Morone si perfezionava l’uscita di scena di Margherita Agnelli dal libro soci della Dicembre. In quel momento l’assetto proprietario vedeva Marella al 3,7%, Margherita al 37,5% e John Elkann al 58,7%. Marella rilevò la quota della figlia pagando un assegno di 105 milioni di euro. Dunque la Dicembre, nel 2004, valeva 280 milioni di euro. A maggio del 2004 ha fatto seguito poi una nuova compravendita. La stessa Marella cedeva ai suoi nipoti la nuda proprietà dell’intera sua quota del 41,2%. A Lapo e Ginevra fu ceduto il 20% ciascuno, a John il restante 1,2%. In questa occasione il passaggio valorizzava la nuda proprietà del 20% della Dicembre 39,2 milioni. L’intera società, dunque, al netto dei diritti di voto, era stimata in 196 milioni, un valore in linea con la compravendita avvenuta un anno prima tra madre e figlia che comprendeva la piena proprietà del pacchetto azionario.
A distanza di 20 anni da quel riassetto che ha consegnato il controllo dell’impero Agnelli a John Elkann, la Dicembre vale 2,9 miliardi di euro. Un dato che si ricava tenendo conto che la valutazione interna della Giovanni Agnelli Bv alla data di novembre 2022, secondo quanto emerge da documenti interni della società olandese, è pari a 7,8 miliardi.
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