Tra stipendio e flessibilità, le strategie per trattenere i talenti in azienda
La retribuzione resta la principale motivazione per intraprendere un nuovo percorso professionale ma la prospettiva di una carriera di successo non è più la priorità
di Gianni Rusconi
4' di lettura
L'hanno definita, forse accentuando il concetto, una “rivoluzione invisibile”. È però indubbio che gli effetti legati al processo di trasformazione in atto nel mondo del lavoro siano tangibili e riflettano un cambio di paradigma evidente, che mette le persone al centro e i migliori talenti in una posizione di vantaggio. Questo, perlomeno, è lo scenario descritto dallo studio Talent Trends 2023 condotto dalla società di recruiting PageGroup su un campione di circa 70mila addetti aziendali di 37 Paesi del mondo, di cui oltre 5.700 italiani fra operatori con impiego full-time, imprenditori e liberi professionisti.
Le linee guida tratteggiate dall'indagine sono più o meno già note. Il livello di “loyalty” aziendale è diminuito mentre la spinta al cambiamento non viene meno anche quando le persone sono soddisfatte del proprio ruolo all'interno dell'organizzazione. La retribuzione resta la principale motivazione per intraprendere un nuovo percorso professionale e la prospettiva di una carriera di successo non è più la priorità, perché l'equilibrio tra lavoro e vita privata non è più negoziabile e la flessibilità non è più considerato un benefit ma un must-have.
Alle aziende e agli Hr manager spetta quindi il compito di interpretare le dinamiche di un mercato del lavoro sempre più “candidate-driven” e sono cinque, nello specifico, i punti chiave per ridisegnare in modo efficace la strategia di talent retention.
In Europa, la maggior parte dei dipendenti è aperta a valutare nuove opportunità di carriera, indipendentemente dall'età, dal sesso, dal ruolo attualmente ricoperto e dal settore di appartenenza. Il 92% degli intervistati italiani, nel dettaglio, prenderebbe in considerazione l'idea di cambiare lavoro e il 59% lo sta già cercando attivamente. Come puntualizza Tomaso Mainini, Senior Managing Director Italia & Turchia di PageGroup, «la fedeltà nei confronti dell'azienda quasi non esiste più o comunque è ormai un'eccezione. I professionisti specializzati possono valutare e confrontare più offerte e, in generale, le persone non pensano a rimanere a lungo nella stessa organizzazione ma si aspettano che la propria azienda pianifichi e condivida un percorso di carriera che permetta loro di evolversi e crescere professionalmente. Altrimenti, come conferma la ricerca, non esitano a rivolgersi altrove».
L'apertura degli addetti italiani al cambiamento, e siamo a un altro fattore da tenere in debita considerazione, non è dovuta solo all'insoddisfazione per il proprio lavoro: lo dimostra il fatto che ben il 37% degli intervistati si dichiari appagato delle proprie mansioni e in un caso su due anche del proprio stipendio, per quanto la predisposizione a cambiare per cercare opzioni migliori sia generalizzata e solo l'8% del campione tricolore assicuri che non si farebbe tentare in tal senso. Come leggere tale tendenza? Secondo Mainini «è un segnale che ci ribadisce come sia sempre più difficile attrarre, e soprattutto trattenere, i talenti. Anche quelli soddisfatti. I dati dimostrano che nella coscienza collettiva è avvenuta una profonda mutazione nei confronti del rapporto con il lavoro, che non rappresenta più una fonte di realizzazione personale: la priorità dei professionisti, oggi, è un equilibrio tra professione e vita privata molto più concreto, e non a caso questi soggetti sono alla ricerca di esperienze e di opportunità per acquisire competenze, piuttosto che un impiego a lungo termine».
Il compenso, come si diceva, si conferma un elemento molto influente nella scelta di cambiare lavoro, in relazione al fatto che i lavoratori abbiano come obiettivo una retribuzione equa e commisurata alla loro esperienza e posizione. Il 57% dei professionisti, nella fattispecie, conferma come il pacchetto retributivo sia l'informazione più rilevante in un'offerta di lavoro, confermando come la situazione economica attuale abbia il suo peso nelle valutazioni legate alla professione di molti addetti. Secondo il manager di PageGroup, per le aziende diventa di conseguenza essenziale rivedere costantemente le buste paga per allinearle alle medie dei ruoli e dei settori, partendo dal presupposto che quasi il 90% delle figure oggetto di studio non è interessata a chiedere un aumento di stipendio prima di dimettersi.
Anche scalare la gerarchia aziendale e puntare a una brillante carriera non è più in cima alla lista dei desideri dei lavoratori, perché il work-life balance è un “asset” irrinunciabile e per otto lavoratori su dieci viene prima del successo professionale. La soddisfazione per l'attuale occupazione, conferma in proposito lo studio, deriva soprattutto dall'equilibrio tra lavoro e vita privata (lo sostiene il 56% degli intervistati europei e il 59% di quelli italiani) anche se si ferma al 27% la percentuale di addetti del Belpaese (contro il 54% dei professionisti europei) che rifiuterebbe una promozione nel caso la ritenesse causa di un impatto negativo sul proprio benessere.
Infine la flessibilità, intesa come possibilità di orari di lavoro senza rigidi vincoli (lo auspica il 71% degli addetti censiti) o di svolgere la professione in modalità ibrida (il 77%): a tutti gli effetti è uno egli elementi fondamentali per i professionisti di ogni fascia di età e si spiega con il fatto che, come conclude Mainini, «le persone mettono al centro il proprio valore e quasi nessuno è più disposto a sacrificare il proprio benessere». Un numero sempre maggiore di candidati, anzi, valuta il proprio lavoro sulla base di una chiara equazione di valore che somma le componenti di stipendio, crescita professionale e flessibilità. «È su questi tre pilastri ormai imprescindibili - osserva infine il manager - che vanno costruite le fondamenta della cultura aziendale».
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