Transizione energetica, il Consiglio comunale blocca l’espansione di Baxi
Bassano del Grappa
di Barbara Ganz e Valeria Zanetti
4' di lettura
Da un lato investe, dall’altro attende il via libera per un ampliamento destinato alla produzione delle unità esterne delle pompe di calore, con il rischio che, se non si farà nel Vicentino, prenda la strada di un altro Paese. Sono i due fronti della Baxi, azienda con casa madre olandese e sede a Bassano del Grappa, un migliaio di addetti (e due volte tanto nell’indotto), specialista nella progettazione e produzione di caldaie e sistemi per il riscaldamento ad alta tecnologia.
Neanche un mese fa è stata comunicata l’acquisizione del 25% del Gruppo G.I. Holding, con sede a Latisana (Udine) e siti produttivi in Italia e Ungheria, oltre a uffici commerciali in Malesia ed Emirati Arabi, 300 dipendenti. Si tratta di una realtà di rilievo per la produzione e commercializzazione di soluzioni d’avanguardia nella climatizzazione, nel raffreddamento dei processi industriali, nel condizionamento di precisione e nel trattamento dell’aria per edifici commerciali, industriali e pubblici. Sempre pompe di calore dunque, ma per strutture di grandi dimensioni. «La partnership con G.I. costituisce una notevole opportunità di ampliamento delle nostre soluzioni per la transizione energetica: le pompe di calore svolgono un ruolo fondamentale nella decarbonizzazione degli edifici - sottolinea Alberto Favero, direttore generale di Baxi Spa. - Per Baxi e per il gruppo BDR Thermea, questa nuova partnership strategica rappresenta un’ottima opportunità per facilitare e velocizzare questo processo, entrando in segmenti di mercato a oggi non ancora totalmente presidiati».
Eppure, in casa, rischia di non concretizzarsi un nuovo investimento per un sito da destinare alla produzione delle unità esterne delle pompe di calore. Serve nuovo spazio, identificato in un’area a fianco degli stabilimenti attuali che verrebbe lasciata libera dalla confinante Pengo, ma il progetto è stata bocciato dal Consiglio Comunale. Sono passati alcuni mesi ed è stato convocato un tavolo di lavoro sulla vicenda, ma aperture reali non ce ne sono, e l’allarme per i posti di lavoro sale.
In piena transizione energetica, e con un mercato scosso dall’effetto superbonus e sconto in fattura ma dal trend in costante crescita, Baxi «intende potenziare la produzione di pompe di calore per il residenziale, in spazi dedicati» spiega Favero. Oggi le linee di produzione sono 12 per caldaie murali e ibride, più una per le caldaie a terra. Qui a Bassano si produce anche (solo per i mercati esteri, dalla Germania alla Gran Bretagna: l’Italia non è ancora attrezzata per una distribuzione di questo genere) la prima caldaia domestica certificata premiscelata a idrogeno puro, una novità assoluta ed a zero emissioni.
Le unità esterne delle pompe di calore a oggi non vengono prodotte dal Gruppo cui Baxi appartiene: l’obiettivo è affrancarsi dalla dipendenza da fornitori. «L’obiettivo era avviare la produzione nella seconda parte del 2024: e se non sarà a Vicenza, sarà in un altro sito del gruppo. Questo territorio ha un distretto del freddo e del calore ad alta specializzazione e una forte presenza nella componentistica, ma non è certo favorito per quanto riguarda il costo del lavoro».
Favero non pronuncia la parola delocalizzazione, ma si limita a dire che «questo genere di cambiamenti non si ferma. Non è solo una questione di nuovi posti di lavoro, ma di mantenimento dei livelli occupazionali attuali, perché di fatto mentre settori come le pompe di calore crescono, altri andranno a ridursi e le nuove politiche energetiche e ambientali imporranno di rinunciare ad alcune produzioni mentre altre si affermano».
Anche in Friuli VG c’è un ampio dibattito su un investimento contestato dal punto di vista ambientale.
Il progetto è quello di una nuova acciaieria in joint venture fra il gruppo ucraino Metinvest con il gruppo Danieli, produttore leader mondiale di impianti e macchine per l’industria metallurgica sede a Buttrio, Udine: lo scenario è quello di un investimento totale stimato in via preliminare in oltre 2 miliardi di euro, e pianificato prima dell’invasione russa in Ucraina, ma accelerato proprio dalla guerra e tenendo conto della prospettiva della ricostruzione. I siti in ballo sono tre: oltre al Friuli VG un’altra possibile collocazione in Italia (Piombino) e una in Europa.
Fra i contrari, oltre alla Giunta regionale, anche i primi cittadini di Marano Lagunare, Lignano Sabbiadoro, San Giorgio di Nogaro, Grado, Latisana, Terzo di Aquileia e Aquileia, che hanno motivato il loro no all’ipotesi di una acciaieria a ridosso della laguna di Grado e Marano e non distante dalle località balneari più frequentate. La partita però non sembra chiusa, e sul tavolo ci sono anche gli studi commissionati dalla stessa Regione. «Dal punto di vista ambientale non esistono condizioni evidenti per limitare a priori l’insediamento di ulteriori attività industriali nell’Aussa Corno», è la sintesi dello studio propedeutico al progetto integrato di infrastrutturazione industriale, capacità logistica e implementazione dell’accessibilità al porto di San Giorgio di Nogaro, commissionato all’università di Udine, per valutare l’idoneità del luogo a ospitare il polo siderurgico.
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