Transizione energetica senza ideologie
di Chicco Testa e Claudio Velardi
3' di lettura
Diciamolo subito, a scanso di equivoci e con la necessaria nettezza: la cosiddetta transizione energetica è molto più che un obbligo dovuto all’inquinamento e ai mutamenti climatici.
È invece un percorso stimolante e affascinante, frutto della insopprimibile aspirazione dell’umanità al progresso, e si alimenta grazie alla ricerca scientifica e all’avanzare incessante delle tecnologie, che ci permettono di migliorare costantemente il rapporto tra uomo e natura.
È questa la direzione di marcia da dare al Green deal europeo, che quindi non va frenato da scetticismi, prudenze o alibi di sorta. Come quello – ad esempio – che ritiene inutili gli sforzi di Europa e Italia, se non li faranno altri (India e Cina in testa). Argomento inconsistente, dato che intanto bisogna pure che qualcuno cominci a muoversi nella direzione giusta, e visto che comunque la Cina è già diventato il primo Paese al mondo per crescita delle rinnovabili.
Detto questo, la transizione deve essere intelligente, oltre che inesorabile.
Ogni Paese la deve affrontare avendo ben presenti la propria storia energetica, la sicurezza dei suoi approvvigionamenti, la sostenibilità sociale, oltre che ambientale, del percorso.
In Italia ci si era avviati su questa strada con il Piano nazionale energia e clima (Pniec) del 2019, che prevedeva ambiziosi obiettivi generali di decarbonizzazione, accompagnati da specifici piani per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), al fine di rendere le attività Oil & Gas compatibili con il generale processo di transizione, e introducendo contemporaneamente una moratoria sulle attività di prospezione di idrocarburi, in attesa di verificare la fattibilità ambientale dei progetti.
A distanza di due anni, è evidente la necessità di fare un punto, perché tutto è cambiato.
È sopraggiunta la pandemia, e con essa le crescenti difficoltà economico-sociali, i nuovi target di sostenibilità fissati da Bruxelles per il 2030, gli investimenti previsti dal Recovery Plan. Mentre l’Italia non ha neanche redatto il Pitesai, per inadempienze e ritardi dei decisori pubblici.
Una parte significativa del comparto energetico italiano si trova così oggi in una condizione di stallo: mancano i piani, la moratoria è in vigore fino al prossimo mese di agosto, le imprese non sanno che futuro le attende.
Pur essendo chiaro a chiunque che solo utilizzando le risorse nazionali di idrocarburi si potrà realizzare una transizione intelligente, che tenga insieme un crescente sviluppo delle rinnovabili (a partire dalle elettriche), la sostituzione delle vecchie centrali a carbone ancora in esercizio con moderni impianti alimentati a gas naturale, e contando anche su piccoli impianti a gas a ciclo aperto per compensare rapidamente i fabbisogni sulla rete elettrica, garantendone la sicurezza (i cosiddetti peaking, necessari per scongiurare i blackout).
Viceversa, interrompere ex abrupto la prospezione di idrocarburi (mentre continuano tranquillamente a farlo i nostri dirimpettai adriatici) significherebbe sostituire con gas di importazione l’attuale produzione nazionale di metano (circa 5 miliardi di metri cubi all’anno), con tre effetti pesantemente negativi: maggiori emissioni per il suo trasporto via tubo o via metaniere; peggioramento dell’esposizione del Paese nella bilancia dei pagamenti e sul piano geopolitico; cancellazione di decine di imprese di settore, innovative e già attivamente impegnate nella transizione (soltanto nell’area del ravennate si stima che siano in gioco più di 10mila posti di lavoro).
C’è un modo concreto per evitare questo pericolo, peraltro incombente, visto che le norme sono in scadenza nell’agosto 2021, cioè domani?
Sì: basterebbe riprendere il Pitesai e arrivare a una sua rapida definizione, come hanno chiesto con chiarezza nei giorni scorsi anche i sindacati nazionali del settore energetico. Scongiurando il rischio di cancellare per decreto un intero settore industriale con le sue consolidate eccellenze.
Usando con intelligenza, moderazione ed economicità le risorse naturali che abbiamo a disposizione. Procedendo, con i piedi ben saldi per terra, verso una transizione energetica giusta e realizzabile. Da concepire, quindi, con meno ideologia e più pragmatismo.
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