Conferenza internazionale di Venezia

Transizione green, Fink (BlackRock): «Mai vista una cosa del genere in 40 anni»

Il ceo del più grande gruppo di risparmio gestito (9,1 trilioni di dollari) sorpreso dal profondo cambiamento del sistema finanziario causato dal climate change

di Vitaliano D'Angerio

Venezia e altre città costiere a rischio inondazioni per il clima

4' di lettura

«Le strategie di investimento sostenibile a livello globale hanno registrato flussi in entrata di quasi 400 miliardi di dollari nel 2020 e sono sulla buona strada per crescere a velocità quasi doppia quest’anno. Credo sia l’inizio della più profonda trasformazione del sistema finanziario che ho visto nei miei 40 anni di carriera nella finanza». È uno dei passaggi chiave del discorso di Larry Fink, presidente e ceo di BlackRock, durante la conferenza internazionale sul clima di Venezia. Nonostante la lunga esperienza, il numero uno del più grande gruppo di risparmio gestito al mondo (9,1 trilioni di dollari in gestione) dichiara il suo stupore di fronte agli enormi cambiamenti nel settore finanziario provocati dal cambiamento climatico e dalla necessaria transizione green.

E nonostante avesse previsto due anni fa questa rivoluzione, confessa di essere sorpreso dalla rapidità: «Sta avvenendo a un ritmo più veloce di quanto avessi mai immaginato». Secondo gli analisti di BlackRock, ricorda Fink, «la transizione potrebbe portare fino al 25% in più di crescita cumulativa del Pil nei prossimi due decenni. Rappresenta un’opportunità di investimento di almeno 50 trilioni di dollari».

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Aziende quotate e banche «a guardia» delle emissioni

L’obiettivo è raggiungere “emissioni zero” di CO2 nel 2050 per contenere l’aumento del riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 gradi come previsto dal trattato di Parigi nel 2015. Fink, nel discorso di Venezia, evidenzia gli ostacoli principali su questo cammino. «Il cambiamento sta avvenendo soprattutto nei mercati finanziari e tra le aziende quotate», sottolinea. Ma ciò non basta: è necessario coinvolgere anche le società non quotate e soprattutto quelle che fanno parte della catena di fornitura (supply chain) delle aziende più grandi.

«Tcfd (la task force internazionale sui rischi finanziari legati al clima), ovviamente, richiede alle aziende quotate non solo di divulgare le proprie emissioni dirette – dice Fink –, ma anche le emissioni dell’intera catena di fornitura di un’azienda o il portafoglio prestiti di una banca». Ecco il punto. I tecnici lo definiscono Scope 3: sono le emissioni indirette dovute all’attività dell’azienda; fonti emissive che non sono sotto il diretto controllo ma le cui emissioni sono indirettamente dovute all’attività aziendale.

Che devono fare dunque le grandi imprese quotate e le banche «per ridurre queste emissioni Scope 3» si chiede il ceo e presidente di BlackRock? La risposta che si dà Fink è molto chiara: «Le grandi quotate e le banche sono chiamate a ricoprire il ruolo di “polizia delle emissioni”, dovendo tagliare business e finanziamenti alle aziende, spesso piccole, che non hanno ridotto le proprie emissioni». Il top manager è consapevole degli effetti di tali decisioni: «Ciò avrà le conseguenze indesiderate di alimentare un contraccolpo nei confronti delle nostre grandi aziende. Promuoverà la narrativa del grande contro il piccolo e un’ulteriore polarizzazione».

Domanda e offerta

In secondo luogo, mentre si va avanti con la transizione energetica, bisogna evitare che i prezzi dei carburanti schizzino verso l’alto: «Dobbiamo assicurarci di spingere tanto sul lato della domanda quanto sul lato dell’offerta. Altrimenti rischiamo una crisi di approvvigionamento che farà lievitare i costi per i consumatori, soprattutto quelli che meno se lo possono permettere, e rischia di rendere politicamente insostenibile la transizione».

Ecco dunque l’altro rischio all’orizzonte, nemmeno tanto lontano: «Il divario di costo tra le tecnologie pulite e quelle che emettono maggiori quantità di gas serra è ancora enorme». Bisogna dunque «lavorare per ridurre il green premium», e chiudere questo gap. Altrimenti «l’aumento dei prezzi del petrolio significherà solo una maggiore dipendenza dal carbone nel mondo emergente. Quindi dobbiamo gestire la curva di domanda e offerta in maniera più efficace».

Fino ad oggi tutta l’attenzione si è concentrata «sul lato dell’offerta, mentre si sta facendo molto poco sulla domanda. In effetti, in questo momento la domanda di idrocarburi sta effettivamente accelerando, facendo salire i prezzi dell’energia».

Il rischio populismo

Quello dei prezzi dei carburanti è un elemento determinante per non far inceppare la transizione energetica. Spiega Fink: «Dobbiamo chiederci: le persone accetteranno il petrolio a 100 o 120 dollari, anche a breve termine?». E aggiunge: «Mentre alcuni vedono prezzi più alti come un modo per limitare la domanda, l’aumento dei costi nel settore energetico seminerà solo una maggiore disuguaglianza economica e un mondo di “abbienti e non abbienti”. Ciò alimenterà la polarizzazione politica e abbiamo già visto come i leader populisti possono annullare anni di lavoro e progressi con poco più di un singolo tweet».

Per ridurre il costo delle tecnologie green, però, non basteranno i soldi pubblici «dobbiamo impegnarci seriamente nell’attrarre capitali privati per l’innovazione tecnologica». Approcci diversi, faranno arenare la transizione energetica.

Paesi emergenti, Fmi e Banca mondiale

Ultimo punto del discorso di Fink è il coinvolgimento dei Paesi emergenti nella transizione energetica: «Lo sviluppo economico in ogni mercato emergente dipenderà da quanto rapidamente diventano green».

Ecco perché vanno ripensate anche gloriose strutture come Fmi e Banca mondiale «create quasi 80 anni fa» quando il mondo era ben diverso. «Hanno ottenuto grandi risultati e hanno solide reti e relazioni nei mercati emergenti». Ma ora tocca «ripensare i loro ruoli. La transizione dei mercati emergenti dipenderà dal reinventare queste istituzioni per il mondo degli investimenti sostenibili in cui viviamo oggi».

Soprattutto, sottolinea il manager, bisogna attirare capitali privati verso le aree emergenti. «Abbiamo bisogno di soluzioni globali e di organizzazioni internazionali disposte a mitigare i rischi dell’investimento nei mercati emergenti».

A tal proposito, il capo di BlackRock ha ricordato «la creazione della Climate Finance Partnership in collaborazione con i nostri partner governativi, Francia, Germania e Giappone, nonché partner filantropici. Si tratta di una struttura pubblico-privata progettata per attrarre capitali privati per infrastrutture sostenibili, come l’energia rinnovabile, nei mercati emergenti».


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