Tre donne sull’orlo di una crisi globale: Von der Leyen, Lagarde, Georgieva
L’onda nazionalista e la gestione della Brexit; la crisi dell’Argentina; la continuazione del quantitative easing nel dopo Draghi: sono le sfide immediate che attendono le tre leader espresse dall’Europa, Ursula Von der Leyen, Christine Lagarde e Kristalina Georgieva, alla guida rispettivamente della Commissione europea, della Bce e (se tutto andrà come da copione) dell’Fmi
di Gianluca Di Donfrancesco
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L’onda nazionalista e la gestione della Brexit; la crisi dell’Argentina; la continuazione del quantitative easing nel dopo Draghi: sono le sfide immediate che attendono le tre leader espresse dall’Europa, Ursula Von der Leyen - che sta già esaminando la bozza di un piano per la creazione di un fondo sovrano da 100 miliardi finalizzato a investire nel capitale di aziende in settori strategici - Christine Lagarde e Kristalina Georgieva, alla guida rispettivamente della Commissione europea, della Bce e (se tutto andrà come da copione) dell’Fmi. Dovranno trovare risposte in un contesto tutt’altro che favorevole, caratterizzato dall’indebolimento dell’economia mondiale, dalla guerra dei dazi e dal cambiamento climatico.
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Von der Leyen e l’ombra della hard Brexit
Tedesca nata a Ixelles, in Belgio, 61 anni il prossimo 8 ottobre, Ursula von der Leyen ha scelto “Wind of Change”, la ballata rock degli Scorpions diventata l’inno della caduta del muro di Berlino, come “colonna sonora” della sua partenza ufficiale per Bruxelles, il 15 agosto. Per vincere il vento nazionalista che soffia in tutto il Continente, prima che diventi una tempesta fatale alla casa comune europea, l’ex ministro della Difesa dovrà promuoverne molti di cambiamenti. Gli incroci del destino fanno iniziare il suo incarico il 1° novembre, il giorno dopo la Brexit, con la prospettiva sempre più fondata che il divorzio tra Londra e Bruxelles avvenga senza accordo: il primo giorno da presidente della Commissione potrebbe essere il più drammatico.
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Von der Leyen è al lavoro per scegliere la squadra dei commissari. La sua prima promessa è stata quella di avere parità di genere nel team. Non sarà facile, perché molto dipende dalle designazioni degli Stati membri.
Nel discorso tenuto il giorno della sua elezione, il 16 luglio, ha annunciato una conferenza sul futuro dell’Europa, alimentando il dibattito sul riassetto dei poteri di Parlamento, Commissione, Consiglio, in modo da rendere la costruzione europea più rappresentativa e vicina ai cittadini. E si è anche impegnata sul riequilibrio dell’Unione, ricucendo le divisioni Nord-Sud, Est-Ovest, Paesi piccoli e grandi, giovani e vecchi. A complicarle il cammino, oltre alle incognite della Brexit, c’e la frenata dell’economia tedesca.
Georgieva tra certezze e incognite
Nata a Sofia 66 anni fa, Kristalina Georgieva deve ancora superare un ultimo esame prima di potersi considerare nuovo direttore generale dell’Fmi. Nella spartizione postbellica tra Stati Uniti ed Europa, la carica è sempre andata alla seconda (e a un francese 5 volte su 11). Alla fine di faticosi negoziati, Parigi è riuscita a coagulare il consenso dei 28 dietro al nome della bulgara. Il principio, che lascia agli Usa la scelta del presidente della Banca Mondiale, è però sempre più indigesto agli Emergenti, che potrebbero provare a compattarsi dietro a un candidato comune. Il calendario dell’Fmi fissa per il 4 ottobre la nomina del suo direttore generale.
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Sull’elezione della Georgieva c’è poi un ostacolo formale: lo statuto dell’Fmi stabilisce che non si possano avere più di 65 anni al momento della nomina a direttore generale e che non si possa restare in carica oltre i 70. Georgieva ne ha compiuti 66 il 13 agosto. La Francia ha già chiesto di eliminare il paletto, e il consiglio esecutivo dell’Fmi ha appoggiato la proposta, che dovrà comunque essere votata dai membri entro il 4 settembre.
Altra incognita: il premier britannico Boris Johnson, tentato dall’ipotesi di presentare un proprio candidato, l’ex ministro delle Finanze George Osborne, rompendo e indebolendo il fronte europeo. Ha tempo fino al 6 settembre per farlo. Un’altra mano azzardata al tavolo della Brexit.
Infine, c’è la prova Trump: se l’elezione del direttore dell’Fmi dovesse cadere in una fase di tensione commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, il presidente americano potrebbe essere tentato di non rispettare il patto non scritto sulla spartizione delle cariche e negare alla Georgieva i voti fondamentali di Washington.
Se alla fine la spunterà, la prima sfida sul tavolo della Georgieva sarà la crisi argentina, con il crollo del peso e della Borsa dopo la sconfitta del presidente Mauricio Macri nelle elezioni preliminari. Macri aveva negoziato con l’Fmi un piano di salvataggio da 57 miliardi di dollari, il programma di aiuti più ingente mai concesso dal Fondo. In cambio, si era impegnato a varare un pacchetto di riforme, che potrebbe saltare se sarà sconfitto anche nelle presidenziali “vere”, il 27 ottobre, alle quali si avvicina in posizione di netto svantaggio rispetto al populista Alberto Fernández.
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Il bazooka di Draghi nelle mani di Lagarde
Francese, 63 anni, Christine Lagarde assumerà la presidenza della Bce a novembre. Con un’eredità pesante: imbracciare il bazooka di «Super Mario» Draghi e dare seguito alle politiche non ortodosse varate sotto la guida dell’italiano per salvare l’euro. Il solco nel quale dovrà muoversi anche Lagarde: il rallentamento dell’economia mondiale ha già portato la Bce ad annunciare un pacchetto di misure che dovrebbe includere un nuovo programma di acquisti pesante. Già nella riunione del 12 settembre potrebbero arrivare novità importanti: tempistica ed entità del taglio dei tassi e del riavvio del quantitative easing. Gli analisti di mercato si aspettano acquisti netti al mese di 30-50 miliardi, con un impatto complessivo nell’ordine dei 500 miliardi e la possibilità di aprire all’acquisto di azioni.
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Per Lagarde, la difesa dell’euro ha una complicazione in più: gli interventi della Bce innescheranno le reazioni del presidente Usa Donald Trump. La Casa Bianca ha già cominciato ad accusare l’Europa di pilotare al ribasso il cambio con il dollaro. Al timone dell’Fmi, Lagarde ha moltiplicato gli appelli a non mettere in discussione l’indipendenza delle banche centrali e soprattutto a non innescare guerre commerciali a colpi di dazi, entrando così in rotta di collisione con Trump.
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