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Tre motivi per il rally delle Borse e la caduta dei tassi dei bond di 50 punti base

I mercati amano sorprendere e lo stanno facendo anche in queste prime sedute di ottobre, all’insegna del risk on dopo un settembre da dimenticare. Cosa giustifica questo rimbalzo? Potrà continuare?

di Vito Lops

(BillionPhotos.com - stock.adobe.com)

3' di lettura

l dollaro si sgonfia e i capitali si redistribuiscono all’interno di obbligazioni e classi di investimento risk on, come azioni, materie prime e criptovalute. La correlazione che va per la maggiore in questo 2022, ovvero quella inversa tra biglietto verde e Borse, si sta confermando nelle ultime sedute caratterizzate dal rimbalzo degli indici azionari e dal ridimensionamento dei rendimenti delle obbligazioni. Tutto favorito da un dollaro più debole (dopo aver toccato un picco di periodo a 115 punti il 28 settembre il dollar index è scivolato a 110).

L’euro, dal suo canto, si è allontanato da quota 0,95 toccata una settimana fa tornando a rosicchiare la parità (0,997). Le Borse europee hanno messo a segno una giornata da incorniciare con l’indice Eurostoxx 50 salito di oltre quattro punti percentuali. Dai minimi di fine settembre il rimbalzo è superiore al 7%. Stesse proporzioni per il Ftse Mib tornato sopra i 21.500 punti. Bene anche Wall Street che si è allontanata del 5,5% dai recenti minimi dell’anno a 3.585 (ieri +3%).

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Il movimento è violento e coinvolge anche il mercato obbligazionario con rendimenti in frenata a riflettere il ritorno della liquidità su questo asset. I BTp a 10 anni - che avevano sfiorato il 5% qualche seduta fa - sono tornati al 4,2%. In frenata anche i tassi tedeschi con i rispettivi Bund scesi dal 2,35% all’1,88%. I decennali statunitensi sono tornati al 3,6% dopo aver superato il 4%.

Cosa sta accadendo? I problemi - geopolitici (guerra energetica), macroeconomici (inflazione alta un po’ dappertutto) e micro (trimestrali in arrivo con tensioni sui bilanci aziendali) - che fino a qualche giorno fa giustificavano il pessimismo degli operatori sono improvvisamente stati risolti? Assolutamente no. Ci sono però almeno tre motivi che stanno alimentando quello che per ora può essere archiviato come un rimbalzo tecnico all’interno di un trend di fondo che, fino a prova contraria, resta ribassista.

Tanto peggio, tanto meglio

L’ultimo dato proveniente dalla manifattura Usa, l’indice Ism, ha evidenziato un rallentamento paragonabile per velocità ai momenti duri del Covid nel marzo 2020. Gli investitori attendevano con ansia un brutto dato macro per avere la conferma che la politica molto aggressiva della Federal Reserve stia iniziando a deteriorare l’economia (e quindi a rallentare potenzialmente la spinta inflativa). A ciò si aggiunge il dato sulle nuove offerte di lavoro del mese di agosto, scese a 10,1 milioni, in netto calo rispetto agli 11,088 attesi. Peggio delle attese gli ordini alle fabbriche statunitensi, sempre ad agosto, rimasti invariati a 548,4 miliardi, contro aspettative di un rialzo dello 0,3%. A questo punto i prossimi market mover, ovvero il dato sulla disoccupazione che verrà reso noto venerdì e l’inflazione di settembre comunicata il 13 ottobre, potrebbero riservare ulteriori sorprese.

Short in chiusura

Molti fondi hedge, posizionati short (cioè al ribasso) in vista di un peggioramento degli indici, nel dubbio stanno chiudendo le posizioni per non trovarsi spiazzati di fronte ai nuovi dati in arrivo. Chiudere una posizione short vuol dire acquistare i titoli venduti in precedenza allo scoperto e questo è sicuramente uno dei fattori che ha calamitato il rimbalzo delle ultime giornate. Per dare ulteriore slancio al movimento occorrerà però una presa di posizione convinta dei grandi fondi di investimento che solitamente si muovono con passo più felpato e attendono maggiori conferme. Di certo la liquidità non manca dato che l’ultimo sondaggio Bofa Merrill Lynch ha rilevato che i fondi hanno un livello di “cash” pari al 6,1%, come non accadeva da 20 anni, decisamente superiore alla media del 4,8%.

Il pivot delle banche centrali

Il terzo motivo che ha alimentato questo rimbalzo finora è la prospettiva che la corsa dei rialzi delle banche centrali possa iniziare a vedere un traguardo (che equivarrebbe a un bottom dei titoli obbligazionari). Una sensazione rafforzata dalla decisione (a sorpresa) della Royal Bank of Australia di alzare i tassi di 25 punti base rispetto ai 50 attesi, andando nella direzione di un report della United nations conference on trade development (Unctad) che ha chiesto alle banche centrali di essere meno aggressive perché in caso contrario si rischiano danni globali peggiori della grande crisi del 2008. E se anche le altre banche centrali la imitassero? Questo dubbio si è insediato nella mente degli investitori che si stanno aggrappando a queste motivazioni per riprendere un po’ di fiato dopo un mese e mezzo di vendite consecutive. È lecito avere dei dubbi, così come può essere saggio non cantare vittoria e credere che tutti i fattori di tensione che fino all’altro giorno invitavano alla prudenza si siano d’un tratto dissolti.

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