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«Tre Piani», perché per noi morettiani è il film più brutto di Nanni Moretti

Convenzionale, vecchio, terribilmente serioso: l’ultimo lavoro del regista romano non può non deludere i fan. E l’uscita ritardata peggiora le cose

di Francesco Prisco

Cannes, Nanni Moretti: "Film fermo per un anno? Ho detto di aspettare i cinema"

3' di lettura

Da morettiano, la domanda più difficile che possiate farmi è: qual è il più bel film di Nanni Moretti? La lista è lunga, le sequenze memorabili sarebbero troppe, le idee fulminanti innumerevoli, da Io sono un autarchico a Il Caimano. Se invece mi chiedete qual è il suo film più brutto, non ho esitazioni: l’ultimo, Tre piani, nei cinema in questi giorni. Che nelle intenzioni del regista dovesse essere un ritorno al minimalismo de La stanza del figlio è abbastanza chiaro, ma quello che ne è uscito fuori è una specie di dramma borghese piccolo piccolo, una tragedia senza catarsi, un film sul rapporto genitori-figli che non ti prende a schiaffi e neanche ti fa sorridere amaramente. Qualcosa che resta in superficie.

Un film troppo convenzionale

La storia arriva dal romanzo omonimo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo. Il regista la porta nella Roma bene, quartiere Prati: è lì che sorge il condominio di tre piani dove si consumano i destini di una coppia di giudici (lo stesso Moretti e Margherita Buy) delusi dal figlio che, da ubriaco, investe una donna uccidendola; un giovane uomo (Riccardo Scamarcio) che, morso dal dubbio che sua figlia possa aver subito violenza sessuale, finisce per avere una relazione con una minorenne; una giovane donna (Alba Rohrwacher) che, logorata dall’assenza del marito, finisce per parlare ai corvi. Prima sensazione: questa è un’opera troppo convenzionale per stare degnamente nella filmografia di Moretti, una pièce televisiva che, negli anni Novanta, non avrebbe sfigurato nel filone di film dibattito di Rai 1 Donne al bivio. Alla faccia dell’intransigenza autoriale di Ecce Bombo, di quel «Che siamo in un film di Alberto Sordi?» che era un attacco al cuore di tutte le convenzioni, del memorabile «No, il dibattito no!».

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Un film vecchio

Seconda sensazione: non sono l’unico morettiano deluso. Basta farsi un giro in sala, sui social o sulle colonne dei giornali, basta riprendere le reazioni della critica alla presentazione in concorso a Cannes 2021. Siamo un mondo, là fuori, a riconoscere che Tre piani è incapace di raccontare efficacemente il mondo là fuori. Certo, ci si è messo anche il Covid che ha rimandato l’uscita di un anno, facendo apparire ancora più vecchio il film, superato in un certo senso quello che racconta. Politicamente superato: noi siamo qua a discutere di Green pass e Margherita Buy deve schivare le molotov di una manifestazione contro i migranti, come se al Viminale ci fosse ancora Matteo Salvini. Roba di ormai tre anni fa. C’è una generazione che si divide tra la mobilitazione per il climate change e la musica trap, ma Moretti non la intercetta: i suoi ragazzi strimpellano il basso, si sbronzano e picchiano i genitori come negli anni Settanta, le sue adolescenti sono ossessionate dalla scoperta del sesso come quelle di Porci con le ali. Dov’è finito il fiuto dell’intellettuale che, con Palombella Rossa, aveva anticipato la svolta della Bolognina? Insomma: Tre piani è un film vecchio perché sembra essere invecchiato Nanni. E il problema non è tanto l’anagrafe, ma la difficoltà di mettersi in sintonia con la contemporaneità.

Un film senza (auto) ironia

Il peccato più grande di Tre piani, tuttavia, è l’assoluta mancanza di (auto) ironia. Moretti, che della risata a denti stretti aveva fatto una cifra stilistica (i suoi primi film sembravano quasi strisce dei Peanuts), non riesce più a ridere delle brutture del mondo, tanto meno di sé stesso. Ne fosse capace, questo suo ultimo potrebbe essere un film di Robert Altman. E invece no: si prende terribilmente sul serio, rinchiuso in una specie di pessimismo cosmico che filtra qualsiasi contatto con l’esterno. Così però sei condannato alla prosa: la poesia te la scordi. L’unico «morettismo» che ci concede è la scena del tango illegal che per inciso, come fenomeno, è moda di cinque o sei anni fa, pure quella roba abbastanza superata, ma tant’è. Si è a lungo parlato del secco rifiuto di vendere i diritti di distribuzione alle piattaforme di streaming da parte dell’autore. Col senno di poi, un’uscita su piattaforma, magari, gli sarebbe valsa come attenuante generica. Nessuno qui ce l’ha con Nanni: è che le aspettative, quando esce al cinema, sono sempre altissime e lui, almeno dai tempi del Caimano, sembra aver perso il suo tocco. Al contrario di Nanni, però, non vediamo tutto nero: il regista romano è già a lavoro sul nuovo film, Il Sol dell’Avvenire, la cui uscita è in calendario per il 2022. La speranza è che sia meglio di Tre piani. Anzi: più che una speranza, è una certezza.

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