Treviso chiede una legge modello Bolzano
Capraro: serve una politica di sostegno a chi investe nelle aree senza negozi
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Parte da Treviso - per la precisione dal Gruppo Alimentare provinciale di Unascom-Confcommercio - la richiesta, diretta a Confcommercio Veneto, di un tavolo tecnico per una proposta di legge regionale sull’esempio di altre regioni. Il riferimento è, fra l’altro, al vicino Alto Adige, dove è possibile assegnare contributi fino a 15mila euro per l’apertura di esercizi di vicinato (negozi che lavorano in paesi con almeno 150 abitanti e che vendono generi alimentari di prima necessità al dettaglio) nelle località che ne sono prive.
In provincia di Treviso, solo il Comune capoluogo ha un bando che ogni anno stanzia un contributo per le nuove attività, «ma occorre pensare – dice Federico Capraro, presidente di Confcommercio - a una politica attiva e continuativa che sostenga queste imprese dal fondamentale valore sociale nei centri storici e nei centri minori in via di costante spopolamento». L’allarme dei piccoli negozi è scattato nei mesi scorsi. Ascom Treviso ha mappato, nel 2019, i bisogni dei piccoli negozianti con un tour attraverso le periferie del capoluogo e ne è emerso un quadro – afferma Capraro – «di estrema urgenza con risvolti sociali fondamentali». Ma l’allarme chiusure tocca tutti i centri urbani e i piccoli paesi senza risparmiare alcuno.
«Il momento storico e la situazione provinciale- dice Capraro- confermano che occorre andare oltre i singoli contributi locali, per costruire un sistema locale che considera questa imprese come dei baluardi fondamentali per l’economia dei paesi, delle città e per la qualità della vita». Occorre in sostanza definire - è la tesi - sul piano economico e sociale, il modello del piccolo esercizio come presidio con valore di welfare.
Intanto i piccoli negozi si organizzano come possono per resistere. Nel quartiere Canizzano un modello è il negozio di Tiziana Zugno, imprenditrice che ha sopperito da sola alla carenza della varietà merceologica dei punti vendita: nei 150 metri quadri che si affacciano lungo la strada principale riassume almeno cinque generi di commercio, con una capacità imprenditoriale che la rende un punto di riferimento. Qui c’è la cartoleria, l’edicola, la regalistica, gli oggetti per la casa e anche il bar, in un concept capace di attrarre tutte le fasce di popolazione. «Ho reagito così- spiega la titolare - alla scarsità della varietà della rete di vicinato, faccio di tutto. Ho scelto però di non tenere le slot, non voglio favorire le dipendenze. Nel mio negozio tutti trovano un’accoglienza ed una risposta».
Il quartiere di San Pelajo con Santa Bona rappresenta la periferia più autentica di Treviso: qui Tito Spironello è un pilastro del commercio del quartiere, titolare dello storico negozio di ferramenta e casalinghi: «Abbiamo resistito lavorando. Faccio scontrini anche di 20 centesimi». A S. Angelo regge il format del bar-famiglia, come è quello di Sonia Bardini, titolare del Magic Caffè: «Il nostro non è un locale di passaggio, è un vero locale di quartiere. Qui la tappa al bar fa parte delle abitudini quotidiane. Passeggiata, caffè, sigaretta, aperitivo. I nostri clienti sono fissi, hanno addirittura il proprio tavolo».
Sono i quartieri stessi a cambiare volto: San Liberale ad esempio, a Nord Ovest del centro storico, progettato tra il 1958 e il 1962 per ospitare i residenti di San Nicolò rimasti senza tetto durante la Guerra, è cresciuto negli anni del boom economico e demografico. «Oggi il quartiere – spiega Maurizio Cappellazzo, fiduciario Ascom-Confcommercio Treviso, contitolare dell’Osteria Perbacco - ha di fronte a sé molte sfide. Prima fra tutte quella del recupero della residenzialità, purtroppo legata alla situazione immobiliare, che conta la stragrande maggioranza degli appartamenti, obsoleti, sfitti o invendibili». Qui resistono attività storiche come il “negozio della Giovannina” (nella foto), la storica cartolibreria del quartiere, che ha visto passare generazioni di trevigiani: ora, per raggiunti limiti di età, vorrebbe chiudere, ma resiste «per non far perdere al quartiere un servizio».
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