«Triangle of Sadness», una satira tagliente scuote il concorso di Cannes
In lizza per la Palma d'oro il nuovo film del regista svedese Ruben Östlund. Fuori concorso «Three Thousand Years of Longing» di George Miller, regista di «Mad Max: Fury Road»
di Andrea Chimento
3' di lettura
Non lasciano mai indifferenti i film di Ruben Östlund, regista svedese che aveva vinto (un po' generosamente) la Palma d'oro al Festival di Cannes 2017 con «The Square», e non fa eccezione il suo nuovo lavoro «Triangle of Sadness».
Protagonista del film è una coppia di modelli invitati a partecipare a una crociera di lusso insieme a un bizzarro gruppo di personaggi. Tutto all'inizio sembra piacevole, ma un evento catastrofico trasformerà il viaggio in un'avventura da incubo, dove ogni gerarchia finirà per essere capovolta.Dopo aver messo alla berlina il mondo dell'arte nel controverso e discutibile lungometraggio precedente, Östlund fa la stessa cosa con il mondo della moda e, soprattutto, degli influencer, inseriti non a caso in un contesto in cui sono circondati da figure che hanno fatto soldi nelle maniere più disparate e non sempre in modo totalmente pulito (emblematico il caso di una coppia di anziani diventata ricca grazie alla realizzazione di granate a mano).Diviso in tre capitoli, il film si apre con una lunga conversazione dei due protagonisti attorno a un conto da pagare, prosegue con la notevolissima parte a bordo del super yacht e si conclude su un'isola dove i ruoli si ribalteranno improvvisamente.
Uno stile sempre più personale
Nonostante si possano citare dei possibili modelli di riferimento (un esempio può essere Luis Buñuel per la capacità di mettere in risalto il cinismo di certe classi sociali), Östlund ha uno stile ormai personalissimo, controverso e discutibile, ma anche in grado di leggere efficacemente il presente e di far riflettere.Con messaggi molto diretti, il regista svedese descrive un mondo alla deriva in cui il contatto con la realtà si perde gradualmente: non è soltanto un ragionamento su ciò che è “instagrammabile” a dominare il mercato, ma su una tendenza umana a voler sempre approfittare della situazione, anche a discapito delle persone più vicine a noi.Nonostante una durata non indifferente (circa 2h30m), la satira proposta è così tagliente e intelligente da non far pesare il lungo minutaggio. Con questo film Östlund potrebbe portarsi a casa un premio anche quest'anno.
Three Thousand Years of Longing
Fuori concorso è stato presentato invece «Three Thousand Years of Longing», film di George Miller che torna dietro la macchina da presa (e sulla Croisette) sette anni dopo «Mad Max: Fury Road».Al centro della narrazione c'è Alithea, una letterata di lingua inglese che si trova a Istanbul per partecipare a un'importante conferenza. Incuriosita da un manufatto trovato in un negozio, la donna lo porta in albergo e strofinandolo avrà una curiosa sorpresa: da quell'oggetto fuoriesce un Genio disposto a esaudire tre suoi desideri.Oltre al riferimento al racconto de «Le mille e una notte», «Aladino e la lampada meravigliosa», Miller ha soprattutto adattato il romanzo «Il genio nell'occhio d'usignolo» di A.S. Byatt per raccontare questa storia sentimentale eccessivamente melensa e zuccherosa, che finisce per risultare presto indigesta.Fin dalle prime sequenze il film mostra la corda con alcuni effetti speciali di dubbio gusto e una tenuta narrativa che si dimostra presto troppo fragile: in maniera prolissa, il Genio inizia a raccontare ad Alithea la sua lunga storia e le varie vicissitudini che l'hanno costretto a essere più volte rinchiuso.
Miller punta su un'estetica particolarmente ricercata che sembra mescolare David LaChapelle con lo stile di Tarsem, regista di un film simile dal punto di vista visivo come «The Fall»: le immagini sono estremamente colorate e appariscenti, ma spesso fini a se stesse e incapaci di offrire il giusto valore simbolico all'apparato formale messo in scena.I due attori principali, Tilda Swinton e Idris Elba, sono probabilmente l'elemento migliore della pellicola ma nemmeno loro riescono ad alzare più di tanto le sorti di un'operazione che avrebbe meritato un respiro cinematografico ben maggiore.
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