Tribù metropolitane o avatar in carne e ossa. Quale la danza del futuro?
Bolzano Danza e Biennale di Venezia mostrano le diverse vie del nuovo che avanza
di Silvia Poletti
2' di lettura
In un tortuoso intreccio di date i due principali festival di danza nazionali di questo spicchio d'estate si rimpallano temi di riflessione. Se Bolzano Danza titola il cartellone 2022 “No Limits” pensando ai corpi estremi capaci di sfide inaudite, la Biennale di Venezia rilancia con “Boundaryless”, ribadendo la possibilità della danza di approcciare con spregiudicata libertà temi scabrosi e tecniche sperimentali. Di fatto però lo scopo è sempre indicare vie future di quest'arte sempre capace di cogliere tensioni del presente, magari andando a investigare cosa avviene sulle scene indipendenti.
Una tribù metropolitana
Si sente molto parlare di futuro osservando a Bolzano Danza il Ballet national de Marseille diretto oggi da (La)Horde, collettivo di artisti multidisciplinari trentenni. L' istituzione fondata da Roland Petit si è trasformata in un ensemble eterogeneo, in cui la pluralità di formazioni è orgogliosamente convogliata in una comune energia, persino rude, da tribù metropolitana. Una tribù però consapevole del passato che ha alimentato le sue suggestioni e allora danza persino le matematiche sequenze del Concerto di Lucinda Childs: e lo fa, magari, senza la pulizia necessaria ma con un vitalismo e una corporeità oneste e generose. Del resto che non si debba prescindere dalla coreografia, (La)Horde lo rivela proprio nei brani a sua firma, come Wheater is sweet, dove fisicità, desiderio erotico, forme di copulazione varie assumono una logica compositiva e una costruzione dinamica che sublimano, senza vanificare, il messaggio. Oppure nell'estratto da A room with a view, su musica tecno di Rone: automatismo da rave party, che racconta come un manifesto politico rabbia e disorientamento delle nuove generazioni il cui beat arriva diritto allo spettatore.
Uno sguardo sulla generazione italiana
Lo sguardo sulle nuove generazioni si sofferma, alla Biennale, sul vincitore del primo bando dedicato ad autori italiani indetto dal direttore McGregor. Diego Tortelli è noto per le collaborazioni con Aterballetto, ma per Fo:No si presenta con il suo gruppo indipendente residente nella generosa Monaco di Baviera. Non sorprende che McGregor sia rimasto affascinato dal suo progetto: l'idea di tradurre in fisicità la trasformazione muscolare e identitaria di chi cambia o perde la voce. Una triangolazione di temi imponenti che fatica però a trovare una chiara leggibilità nella coreografia, sviluppata su una partitura di beat-boxing per i consueti blocchi di movimenti disarticolati e meccanici, estetizzanti a tratti, ma espressivamente vacui, rendendo alla fine tutto concettoso e involuto.
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