Tribunale dei brevetti a Milano, l’attacco di Francia e Germania
Nella corsa per la terza corte il paese prova a fare pesare il ruolo nella farmaceutica. Il ministro Nordio scrive agli omologhi francesi e tedeschi a tutela dell’Italia
di Laura Cavestri
3' di lettura
È un braccio di ferro sulle competenze la trattativa in corso (e per ora in stallo) per portare a Milano non la sede regionale (già prevista), ma una delle tre corti centrali del nuovo Tribunale per il brevetto unitario (le altre due sono a Parigi e Monaco di Baviera). Da un lato, infatti, c’è l’Italia che – facendo valere tutto il “peso” del suo sistema manifatturiero e con tutte le carte in regola per numero di brevetti depositati – ha da tempo candidato Milano a ospitare una delle tre sedi centrali del futuro tribunale (trasferita da Londra causa Brexit) che dovrà dirimere, con sentenze che avranno per la prima volta “giurisdizione” in tutti i Paesi Ue, le liti in materia brevettuale e di tutela della proprietà intellettuale.
Dall’altro ci sono Francia e Germania che, con la fuoriuscita di Londra (essendo la normativa ambigua su cosa fare), avevano deciso di avocare a sè le competenze in materia inizialmente spettanti alla City. E alcune vorrebbero continuare a tenersele.
Più che una questione puramente tecnica o di egoismi, un tema economico. Una stima – di qualche anno fa e forse oggi poco attendibile – valutava l’indotto di ospitare una sede del tribunale per il brevetto unitario (tra servizi diretti e indiretti) in oltre 300 milioni di euro l’anno. Anche perché la sede di Londra era destinata a occuparsi delle liti riguardanti (oltre la metallurgia) soprattutto l’ambito chimico-farmaceutico e biotech. Contenziosi «ghiotti», milionari e complessi.
A metà febbraio, dunque, è giunta la proposta di Francia e Germania: trasferire in Italia sì la terza sede centrale, ma lasciando chimica e metallurgia a Monaco di Baviera, e a Parigi quella quota di brevetti farmaceutici dotati di SPC (certificato di protezione supplementare: in pratica, un certificato che prolunga la protezione brevettuale di un farmaco per consentirgli di recuperare i guadagni “persi” nel tempo trascorso tra il deposito della domanda di brevetto e l’effettiva messa in commercio). In altri termini, almeno il 90% dei farmaci che hanno avuto successo sul mercato. All’Italia resterebbero, così, brevetti sui medicinali senza SPC (poche ed economicamente poco interessanti) e il biotech non farmaceutico.
Non se ne parla. Controproposta italiana (sinora accolta freddamente): nessun problema per la metallurgia a Monaco. Ma ci teniamo la chimica (che alla farmaceutica è legata) e a Parigi solo la quota di brevetti farmaceutici con SPC dove non sia in dciscussione la validità o la contraffazione del corrispondente brevetto di base. In pratica, troviamo un accordo. Il dossier è infatti all’attenzione di tre ministeri (Esteri, Imprese e Made in Italy e Giustizia). E ciascun ministro si è sinora mosso in questa direzione. Ma ieri il Guardasigilli Carlo Nordio – anche per competenza di materia – ha scritto agli omologhi francese (Eric Dupond-Moretti) e tedesco (Marco Buschmann) per tenere il punto sulla posizione italiana.
In ogni caso, al di là di quale sarà il perimetro definitivo, ci sono due questioni. Una tecnico-legale e l’altra di opportunità politica ed economica. L’articolo 87 (comma 2) dell’Accordo sul Tribunale (Upca) prevede che l’accordo si possa modificare per adeguarlo a un trattato internazionale in materia di brevetti o al diritto dell’Unione. E la Brexit è un valido motivo per destinare la corte centrale ad altra sede. Ma nulla impone o legittima una revisione anche delle competenze. Peraltro, il trattato, così com è, è stato recepito da tutti i Paesi. Inoltre, il 1° marzo scatterà la fase tecnica-propedeutica (sunset season) all’entrata in funzione di tutte le corti dal 1° giugno e la questione dovrà essere decisa in pochi giorni.
L’Italia sconta una difficoltà di dialogo all’interno della Ue, soprattutto con la Francia. Forzare sino a minacciare l’uscita della seconda manifattura europea (ai vertici proprio della produzione farmaceutica Ue) dal sistema del brevetto unitario europeo non converrebbe a nessuno. Ma portare a casa una “vittoria di Pirro” con una corte centrale “svuotata” di gran parte delle competenze potrebbe addirittura essere più un costo che un vantaggio. Perché il tribunale e il suo funzionamento sono a carico del Paese ospite, ma senza contenziosi di valore, anche i guadagni diretti e l’indotto potrebbero non valere l’investimento.
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