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Trivelle: quanto ci costa lo stop ai giacimenti nazionali

di Jacopo Giliberto

4' di lettura

Difficile calcolare l’effetto di una norma mirata ad allontanare i giacimenti di metano e di petrolio utilizzati dagli italiani, sfruttando quelli più remoti al posto di quelli nazionali.
Per esempio le compagnie beffate potrebbero fare ricorso agli arbitraggi internazionali chiedendo risarcimenti da centinaia di milioni l’uno per il danno emergente e anche per il lucro cessante (con lusinghiero ottimismo il ministero dell’Economia e delle finanze s’illude che non possa essere rivendicato il lucro cessante). Assommate insieme, nell’ipotesi peggiore e meno probabile queste richieste di risarcimenti potrebbero valere anche una decina di miliardi, quanto il valore di un’intera manovra economica.

LE RISORSE DEL SOTTOSUOLO

Fonte: Rapporto 2018 DGS - UNMIG ministero Sviluppo economico

LE RISORSE DEL SOTTOSUOLO

Uno studio presentato di recente dalla Confindustria Energia stima in 10,9 miliardi gli investimenti dei prossimi 12 anni per estrarre dal sottosuolo italiano il metano e il petrolio, cioè un investimento di quasi un miliardo l’anno.

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Le misure su cui sta discutendo il Parlamento prevedono che

• entro un anno e mezzo venga predisposto un piano regolatore delle aree in cui sarà possibile cercare e usare i giacimenti e dove sarà vietato;

• in questo anno e mezzo vengono bloccate tutte le attività di studio e ricerca del sottosuolo;

• i canoni di concessione delle aree sotto cui cercare giacimenti, e per sfruttarli quando vengono trovati, aumentano di circa 25 volte. In Italia il tema dei canoni di concessione e di ricerca finora ha seguito un meccanismo differente.

• sparisce il riconoscimento delle attività di ricerca ed estrazione di metano e petrolio come attività di pubblica utilità. Quindi, zero occupazioni temporanee delle aree.

Emissioni più alte ma inquinamento più basso in Italia
Allontanare i giacimento verso Paesi remoti non riduce l’inquinamento: lo fa crescere, però lo sposta lontano da casa nostra.
Più petroliere in evoluzione davanti alle nostre belle spiagge e più metanodotti come quello contestato in Puglia.
Per importare il gas dall’estero è necessario bruciarne una percentuale importante per poterlo comprimere e trasportare, con il conseguente aumento delle emissioni del 25% circa rispetto al gas prodotto in Italia.
Tuttavia l’allotanamento dagli impianti dagli occhi dei concittadini (ed elettori) potrebbe ridurre i rischi di contaminazione e di sicuro riduce l’attenzione dei comitati nimby di opposizione locale.

Finora canoni bassi e royalty alte
Questo il criterio seguito finora in Italia. Le risorse del sottosuolo (metano, anidride carbonica, metalli, minerali e così via) appartengono alla collettività dei cittadini, ma lo Stato non le sfrutta e lascia che siano investitori privati a cercare al posto suo le risorse del sottosuolo. Solamente se e quando questi beni saranno effettivamente individuati ed estratti, a quel punto lo Stato si rivale su quelle risorse e ne chiede una parte cospicua del valore, in genere fra il 7 e il 10%.
I canoni bassi sono un incentivo a cercare risorse minerarie e a metterle a disposizione dello Stato e dei cittadini, e uno stimolo a utilizzare anche i giacimenti minori.

Rimarrebbero le multinazionali, esclusi i piccoli
La conseguenza dell’inasprimento dei canoni di concessione è una minore appetibilità dei giacimenti nazionali di dimensioni minori e una minore accessibilità delle società minori alle risorse. In altre parole, solamente le “major” riuscirebbero ad affrontare l’investimento, e solamente per i giacimenti più vasti. L’aumento dei canoni però bilancerebbe il calo nel loro numero.

Il calo degli incassi dello Stato
Secondo stime dell’Assomineraria — quindi stime di parte — la moratoria nel solo caso dei permessi di ricerca, si stimano nei prossimi anni minori investimenti per oltre 400 milioni di euro e una diminuzione delle entrate per le casse dello Stato (tra tasse, contributi e royalty) per circa 110 milioni di euro per anno.
Pare che non accadrà, ma se i vincoli venissero applicati anche al caso di stop ai giacimenti nelle aree che il piano riterrà non idonee, verrebbero a mancare investimenti e spese di esercizio per circa 6 miliardi di euro e si registrerebbe una diminuzione delle entrate per le casse dello Stato per oltre 300 milioni per anno.

Il problema dei lavoratori
C’è un solido problema di gente che verrebbe licenziata in tronco, e sono soprattutto i dipendenti delle piccole compagnie che cercano i giacimenti per poi, dopo averli trovati, li cedono alle grandi compagnie con le spalle larghe per sostenere gli investimenti successivi.
Molto forte anche l’indotto, cioè le aziende di studio e ricerca, di analisi dei dati, di progettazione e ingegneria, di fornitura di tubi e valvolame, le società di fornitura del catering e dei servizi abitativi per il personale di cantiere o imbarcato sulle piattaforme, i battelli di servizio alle piattaforme, gli elicotteristi per il trasporto dei tecnici, i noleggi e così via. Un indotto stimato in più di 100mila persone.

Ravenna, Parma, Piacenza e gli altri poli produttivi
Soltanto in Emilia-Romagna lavorano più di 100mila addetti riconducibili all’industria delle risorse del sottosuolo. Il più grosso è il polo di Ravenna, ma distretti di grandi e piccole aziende si trovano nell’area di Parma, nel Piacentino, a Genova, a Trieste.

L’aumento dell’import
Allontanare i giacimenti riduce la produzione nazionale di metano e di petrolio a favore delle importazioni dall’estero, che nel 2018 ci sono costate circa 40 miliardi di euro.
Secondo fonti industriali, la produzione dai giacimenti nazionali ha contribuito al miglioramento della bilancia commerciale con un risparmio complessivo sulla bolletta energetica di circa 3,1 miliardi.
Oggi l’Italia importa una quota di energia pari a circa il 75% (per gas e petrolio si raggiunge il 90%), una dipendenza energetica molto superiore alla media dei Paesi europei, che si attesta intorno al 54%.

Riproduzione riservata ©
  • Jacopo Gilibertogiornalista

    Lingue parlate: italiano, inglese

    Argomenti: ambiente, energia, fonti rinnovabili, ecologia, energia eolica, storia, chimica, trasporti, inquinamento, cambiamenti climatici, imballaggi, riciclo, scienza, medicina, risparmio energetico, industria farmaceutica, alimentazione, sostenibilità, petrolio, venezia, gas

    Premi: premio enea energia e ambiente 1998, premio federchimica 1991 sezione quotidiani, premio assovetro 1993 sezione quotidiani, premio bolsena ambiente 1994, premio federchimica 1995 sezione quotidiani,

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