Archeologia

Trovato in Giordania un santuario del Neolitico

Del 9000 a.C. serve a comprendere l’'economia di sussistenza organizzata tra cacciatori-raccoglitori, prime coltivazioni ed allevamento

di Laura Traversi

2' di lettura

In Giordania è stato trovato quasi intatto un Santuario datato 9.000 a.C.. Esso “getta una luce completamente nuova sul simbolismo, l’espressione artistica e la cultura spirituale di popolazioni neolitiche finora sconosciute”. Ciò è stato reso possibile dallo scavo concluso nel 2021, co-diretto da Wael Abu-Azziza dell'Università Al Hussein Bin Talal- Giordania e dall’Istituto francese del Vicino Oriente.
Siamo tra il sistema montuoso a est del Mar Morto-Golfo di Aqaba (Golfo Persico) e la valle dell'Eufrate, tra le principali terre del mito di fondazione del mondo urbano e civile come lo studiamo nell'era industriale e post-industriale. Non troppo lontano da Petra, l'eccezionale sito carovaniero romano e nabateo visitato da milioni di turisti, sulla direttrice sud-nord che collegava la penisola arabica al Mediterraneo.

Il significato archeologico e antropologico

Il valore dello straordinario sito archeologico ora ritrovato è connesso al passaggio dei nostri antenati dall'economia di caccia e raccolta a quella agricola. Racconta dell'inizio e della coesistenza di una società di cacciatori-raccoglitori, necessariamente nomade, con le prime forme stanziali di coltivazione ed allevamento, nel Neolitico (10.000-3.500 a.C.). Il complesso è stato trovato in un sito dell'età della pietra nuova (neolitica) vicino ad un cosiddetto “aquilone del deserto”. Il nome deriva dalla forma di questi recinti, così come percepita dall' alto dai piloti delle rotte postali aeree che li fotografarono agli inizi del Novecento, primi occidentali ad osservare sistematicamente tali strutture murarie. Sebbene visti in funzione anche dai viaggiatori dei secoli XIX e XX, furono erroneamente interpretati come strutture difensive per uomini e animali.

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Tecniche di caccia e sussistenza agro-alimentare

Si trattava invece di “trappole di massa” formate da due o più muri di pietra convergenti verso un recinto, utilizzate per radunare le gazzelle selvatiche, durante le loro migrazioni primaverili verso nord o estive verso sud, in parte coincidenti colle rotte carovaniere e commerciali, che gli archeologi hanno correttamente interpretato negli ultimi decenni. Erano parte essenziale di tecniche di caccia orchestrate stagionalmente da gruppi organizzati, sopravvissute sin quasi ai nostri giorni, ad esempio tra gli Indiani d'America. Simili strategie di sussistenza, basate sulle battute di caccia, richiedevano terreno aperto, grandi branchi di prede, gruppi di molti uomini organizzati. Nelle steppe medio-orientali, con un clima non troppo diverso da quello attuale, avevano diffusione sulle alture prospicenti varie aree “desertiche” (Giordania, Siria, Arabia Saudita e Sinai), laddove animali come le gazzelle sopravvivevano meglio di specie necessitanti gli abbeveraggi più frequenti del fondovalle (bovini, ovini, suini). La vicinanza del sito/santuario alle trappole suggerisce che gli abitanti fossero cacciatori specializzati e che le trappole fossero: “il centro della loro vita culturale, economica e persino simbolica”.
Con questa scoperta pare confermarsi la creazione di insediamenti e culture sedentarie in cui coesistevano colture vegetali ed allevamento (10%) con una dominante strategia di sussistenza (80%) basata sulla caccia e lo stoccaggio di scorte proteiche (carne salata) sufficienti per un anno. Nel VII millennio a.C., in base ai dati archeologici, tali percentuali paiono invertirsi e l'allevamento di pecore e capre prese il sopravvento. All’interno del santuario ci sono due pietre erette scolpite con figure antropomorfe, una delle quali accompagnata da una rappresentazione dell’ aquilone del deserto”. Sono presenti anche un altare, un focolare, conchiglie marine e un modello in miniatura della trappola della gazzella.

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