i provvedimenti del presidente

Trump e la Corporate America: chi acconsente, chi tace e chi protesta

di Marco Valsania

Trump (Reuters)

2' di lettura

NEW YORK - Le aziende dell'hi-tech hanno parlato chiaro. Ma per altre lo slogan è stato la cautela e altre ancora hanno scelto un silenzio assordante, se non un quasi assenso.

L'ordine esecutivo di Donald Trump sull'immigrazione - che mette al bando i rifugiati e i visti d'ingresso da sette paesi islamici - è stato accolto da proteste e ricorsi legali a Silicon Valley, che ha “rotto” con il neopresidente dopo recenti tentativi di riavvicinamento. Google ha visto il suo co-fondatore Sergey Brin, un emigrato russo, partecipare alle manifestazioni all'aeroporto di San Francisco. Amazon e il suo amministratore delegato Jeff Bezon, assieme a Expedia, appoggiano la causa intentata dallo stato di Washington per far dichiarare incostituzionale il provvedimento. Apple, Microsoft, Uber, Airbnb e tante altre si sono schierate “contro”.

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Membro onorario del club è anche Starbucks, che per sfida si è impegnata ad assumere diecimila rifugiati. Come Goldman Sachs, Citigroup, BlackRock, Coca-Cola, Procter & Gamble, General Electric e Ford, Nike (uno dei comunicati più decisi: «Siamo contrari») e Wal-Mart. Tutte hanno espresso diverse gradazioni di preoccupazione per l'effetto di gelo sul Paese, sul business e sulla forza lavoro.

Ma la Corporate America ha assistito a non pochi cospicui casi di silenzio. Hanno sostanzialmente taciuto, nell'auto, le altre due grandi case di Detroit, la Fca e la General Motors (che ha però promesso di aiutare dipendenti in difficoltà). Nella finanza il gigante bancario Wells Fargo ha indicato che sta «esaminando» l'ordine e Morgan Stanley si è limitata a far sapere che «segue da vicino la situazione».

Particolarmente trincerate dietro un «no comment», inoltre, numerose società di media e telecomunicazione, che a volte hanno in atto fusioni che devono essere approvate dal governo: da Time Warner a Comcast, da Verizon a AT&T; e a Hollywood è stata notata la timidezza di Sony, Paramount, Universal. Il presidente dell'Associazione del settore cinematografico Motion Picture Association, l'ex senatore democratico Chris Dodd, ha semplicemente fatto sapere di essere convinto che sia possibile garantire tanto la sicurezza che i diritti delle persone. L'eccezione è stata qui almeno in parte il gruppo di Rupert Murdoch, la 21st Century Fox, che ha offerto esplicitamente sostegno a tutti i suoi dipendenti con toni anti-discriminatori.

Estremamente taciturni, tanto da apparire spesso consenzienti, invece i colossi dell'energia e del petrolio. Chevron sta «studiando» la misura, mentre nulla è stato dichiarato da ExxonMobil (il suo ex ad Rex Tillerson è stato nominato Segretario di Stato da Trump), da ConocoPhillips o da Marathon. Hanno attività in particolare in Iraq, uno dei Paesi messi al bando, ma hanno anche stretti legami con l'amministrazione.

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