Trump, Soleimani e la polveriera mediorientale che rischia di scoppiare
Con la morte di Soleimani assistiamo a un cambio di prospettiva dei rapporti di forza in Medio Oriente e nel mondo. Dagli esiti incerti
di Ugo Tramballi
3' di lettura
Analizzando gli avvenimenti con realismo – il passo successivo è il cinismo – non c'era obiettivo da colpire più evidente di Qasem Soleimani: l'uomo che da anni interpretava le ambizioni geopolitiche dell'Iran, che sosteneva il suo programma nucleare, che finanziava e armava Hezbollah libanese, difendeva il regime siriano, consolidava l'influenza di Teheran sull'Iraq.
Ma eliminare un nemico così importante, affrontandone le conseguenze, ha senso se l’amministrazione americana intende restare in Medio Oriente, continuando a farne il centro di gravità della sua potenza globale.
La mossa di Trump
Invece Donald Trump che senza consultare i presidenti repubblicano e democratica delle due camere, ha ordinato l’uccisione di Soleimani – lo dice il Pentagono – aveva ripetutamente annunciato di volere uscire dalle “guerre senza fine” di quella regione.
Qualunque sarà il risultato di quest’azione realisticamente concepibile ma moralmente inaccettabile, Donald Trump mostra una volta di più i suoi due lati oscuri: l’estemporaneità delle decisioni che prende, l’assenza di consultazione degli esperti prima di agire. In politica estera queste abitudini possono far danni incalcolabili. Uccidere Soleimani, ha commentato l’ex vicepresidente e candidato democratico Joe Biden, è stato «come buttare un candelotto di dinamite in una polveriera».
Fino a ieri Stati Uniti e Iran si erano attenuti alle regole dei conflitti a bassa intensità: parole grosse, azioni al di sotto di un’implicita linea rossa e quelle al di sopra eseguite per procura dagli alleati (le milizie pro-iraniane o l’aviazione israeliana). Gli iraniani avevano danneggiato le petroliere nel Golfo, abbattuto un drone americano, bombardato gli impianti petroliferi sauditi, dimostrando un certo nervosismo. A Donald Trump bastavano le sanzioni economiche e l’affondamento dell’accordo sul nucleare iraniano per tenerli sulle spine.
Cambio di prospettiva
Quella specie di Guerra fredda del Golfo aveva due pilastri: Trump non avrebbe mai fatto un’altra guerra in Medio Oriente, meno che mai in un anno elettorale; l’economia iraniana in grave crisi non avrebbe potuto sostenere un conflitto convenzionale. Teheran contava di prendere tempo fino a martedì 3 novembre di quest’anno, quando gli americani voteranno: nella speranza piuttosto condivisa nel mondo, che gli elettori americani scelgano un altro presidente. Il confronto Usa-Iran era come la definizione che il grande filosofo Raymond Aron aveva dato di Stati Uniti e Unione Sovietica ai tempi della Guerra fredda originale: «La pace è impossibile, la guerra improbabile».
Invece all’improvviso, del tutto inaspettatamente rispetto ai suoi comunque ondivaghi comportamenti in politica estera, Donald Trump ordina di eliminare l’obiettivo più pregiato, pericoloso ma forse anche utile nell’eventualità di una trattativa.
Il ruolo di Soleimani
Nella lotta contro l’Isis e al Qaeda, Soleimani aveva ordinato alle sue brigate di combattere accanto agli americani. E non è ancora chiaro perché l’altra notte fosse tornato a Baghdad: se per organizzare nuovi attacchi all’ambasciata americana o calmare le milizie sciite pro-iraniane. Prima del suo omicidio le interferenze iraniane in Iraq avevano sollevato grandi proteste: le manifestazioni dei giovani e soprattutto le prese di distanza del clero iracheno che prima di essere sciita è arabo e nazionalista. Anche dopo l’omicidio di Soleimani c’è stato chi ha avuto il coraggio di celebrare la sua morte in nome dell’indipendenza irachena.
Le mosse di Teheran
Che fine farà ora la Guerra fredda che in qualche modo aveva impedito al Levante e al Golfo di esplodere definitivamente? Gli iraniani potrebbero coinvolgere Israele, attaccandolo; potrebbero ordinare alle loro milizie di colpire le basi americane nella regione. Gli americani potrebbero compiere bombardamenti chirurgici in territorio iraniano, magari occupandone qualche area strategica come i terminali petroliferi. Ma i due principali elementi che impedivano la guerra prima, restano anche dopo la morte di Soleimani: Trump non vuole combattere quando l’America vota, l’Iran non ha i soldi.
La vendetta “ammissibile” di Teheran potrebbe avvenire nello stretto di Hormuz dal quale passano 22,5 milioni di barili di petrolio al giorno, il 24% della produzione quotidiana mondiale. O con la ripresa del programma nucleare. Se dimostrerà di poter bloccare Hormuz senza però farlo e se arricchirà l’uranio in un percentuale che non spaventi il mondo, la tensione si potrà allentare. L’alternativa è un conflitto che per devastazione e dimensioni neanche il Medio Oriente ha mai conosciuto.
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