Tullio, Mario e il narrare la scuola elementare
di Franco Lorenzoni
2' di lettura
Tullio De Mauro aveva a cuore la crescita culturale dell’intera società perché, come Piero Calamandrei, pensava fosse l’unica garanzia per la sopravvivenza e lo sviluppo della democrazia. Non riteneva tuttavia che il cuore della cultura si trovasse nei soli confini dell’Università e del liceo classico. Per questo ha rivolto sempre la sua attenzione alle più diverse competenze e a tutti i gradi dell’istruzione, mostrando una particolare sensibilità verso la scuola dell’infanzia e la scuola elementare. Da linguista sapeva bene che in quei primi anni può prendere forma una relazione viva con la lingua capace di aprire la mente. Particolarmente fruttuosa è stata la sua collaborazione con gli insegnanti riuniti nel CIDI e nel MCE e grande era la stima che ha sempre nutrito per Mario Lodi, a cui riuscì a far scrivere la Guida al mestiere di maestro per la collana Libri di base, che curava per gli Editori Riuniti. C’è un ricordo, scritto dopo la morte di Lodi su La vita scolastica, che rende bene la qualità della loro relazione.
«I diari - scrive De Mauro - documentano l’attenzione di Mario a stimolare la maturazione delle capacità verbali come parte dello sviluppo dei cento linguaggi malaguzziani di cui ogni bambino è portatore. Ogni bambino: nella scuola che Mario ha vissuto e che propone non c’è posto per bambini considerati più dotati o per quelli giudicati meno dotati, ma per bambini ciascuno dei quali ha un particolare potenziale da coltivare e sviluppare e mettere in comune. La scuola di Mario è una scuola scientificamente, sperimentalmente democratica. Ricordiamo una breve sintesi della sua pedagogia: “Il bambino impara giocando da quando nasce. I suoi strumento sono i sensi e la mente. Con i primi raccoglie i dati della realtà: i rumori, le forme, il tepore del seno materno, il sapore del latte, gli odori della casa, i colori, le voci. Con la mente confronta, riflette, ricorda. Conserva le sensazioni in ripostigli segreti dove possono restare per tutta la vita. Il suo metodo è corretto perché raccoglie dati, li confronta, li seleziona, formula ipotesi, le verifica, ricava sintesi. Restituiamo ai bambini la possibilità e il piacere di scoprire - giocando - concetti scientifici e abilità tecniche che li aiutino ad ampliare la loro cultura” (…)
La lezione più incisiva viene dal rendiconto del suo fare scuola: Mario che entra il suo primo giorno di scuola in una prima elementare (…) e propone di servirsi della cattedra come una eccellente stia entro cui allevare i pulcini; il signor maestro resta senza protezione della cattedra, scende tra i banchi, invita a metterli in cerchio, siede in un punto qualunque e comincia a parlare: questo vale parecchi volumi di pedagogia teorica. Qui credo stia metà della forza di Mario Lodi, nell’aver saputo tenere i piedi fermi sul suolo della sua aula a Vho di Piadena. L’altra metà sta nell’aver saputo documentare con precisione e raccontare con ammirevole semplicità ed efficacia il suo fare scuola».
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