Tumori, Italia sguarnita di una legge sul diritto all’oblio: tre milioni di guariti e “cronici” chiedono il diritto di vivere
Anche a questi 3 milioni di donne e uomini guarda la Giornata mondiale del cancro del 4 febbraio, a cui l'Italia arriva forte di un'oncologia d'eccellenza per la qualità degli studi e dei professionisti ma ancora sguarnita di una legge sul diritto all'oblio e di assistenza adeguata per quanti con la malattia convivono
di Barbara Gobbi
I punti chiave
5' di lettura
Oggi sono oltre un milione le persone guarite da tumore in Italia, quasi una su quattro quindi sono tornate ad avere le stesse aspettative di vita della popolazione generale. Per la stragrande maggioranza però l’addio alla malattia figura solo in cartella clinica, mentre la burocrazia continua a registrarli come “malati”, con tutto l’aggravio delle discriminazioni nell’accesso a servizi che consentirebbero una normale vita quotidiana e uno sguardo al futuro, dalla stipula di un'assicurazione o di un mutuo a un nuovo posto di lavoro fino all'adozione di un figlio.
Sono due milioni i “lungosopravviventi”
Dall'altra parte, i cosiddetti “lungosopravviventi”, in aumento grazie alla cronicizzazione della malattia consentita da cure sempre più innovative e mirate, sono 2 milioni: una categoria di pazienti che oggi è in un limbo indeterminato non solo perché non possono essere considerati guariti ma perché necessiterebbero di una presa in carico sul territorio che oggi non c'è.
La Giornata mondiale del cancro
Anche a questi 3 milioni di donne e uomini guarda la Giornata mondiale del cancro del 4 febbraio, a cui l'Italia arriva forte di un'oncologia d'eccellenza per la qualità degli studi e dei professionisti ma ancora sguarnita di una legge sul diritto all'oblio e di assistenza adeguata per quanti con la malattia convivono. Anche per questo piccolo esercito vale lo slogan della Giornata mondiale “Close the care gap”, perché la sostanziale invisibilità della loro condizione li trasforma in cittadini “disuguali” davanti alla società e alla legge.
Beretta (Fondazione Aiom): petizione online per sollecitare al più presto una legge
«In molti Paesi europei esistono già delle norme specifiche per chi ha superato definitivamente il cancro. Queste persone all'estero riescono, senza troppi problemi, ad avere un prestito bancario o a stipulare un'assicurazione sulla vita. Da noi invece nonostante diversi appelli non c'è ancora nessuna garanzia legislativa e per questo da oltre un anno promuoviamo “Io non sono il mio tumore”, la prima campagna nazionale per il diritto all'oblio oncologico – spiega Giordano Beretta, presidente della Fondazione Aiom, l'Associazione di oncologia medica - . Abbiamo avviato diverse iniziative tra cui una petizione on line che ha già raccolto oltre 150mila firme per sollecitare le istituzioni politiche ad approvare al più presto una legge».
Iannelli (Fnomceo): hanno bisogno di un'assistenza più prolungata
«I pazienti cronici sono invece quelli che presentano tumori che progrediscono lentamente o che alternano fasi di remissione ad altre di ripresa della malattia – sottolinea Giovanni Pietro Iannelli, della Federazione nazionale dei medici (Fnomceo) -. Grazie alle terapie riescono a tenere sotto controllo la neoplasia con buoni risultati anche per lunghi periodi di tempo. Per esempio un carcinoma della mammella che presenta metastasi ossee, può essere trattato con successo anche per più di 10 anni. Lo stesso vale per il cancro della prostata o altre neoplasie molto diffuse e non particolarmente insidiose. Sono tuttavia persone che non riusciranno mai a guarire completamente. Per questo necessitano di un'assistenza più prolungata rispetto a poco tempo fa, quando le prospettive di vita erano inferiori così come i tassi di sopravvivenza».
Ma in Italia un vero sistema di cure sul territorio per i pazienti con tumore non c'è e infatti questa è una delle criticità a cui il nuovo Piano oncologico nazionale 2023-2027 guarda con attenzione. In questo caso servono risorse ma soprattutto appropriatezza, necessaria per portare le migliori cure vicino al paziente, per garantirgli nelle reti oncologiche una presa in carico adeguata anche con l'arruolamento fino a oggi estremamente limitato dei medici di famiglia. Il follow up necessario va fatto ridefinendo i criteri guida che devono orientare la sorveglianza delle persone con una storia di tumore. E bando agli sprechi: oggi il Piano stima che malgrado I costi attesi del follow up siano relativamente contenuti, i costi reali stimati sono circa 10 volte superiori per l'eccesso di richieste di esami e visite che anzi rischiano di danneggiare la persona.
«In Italia stenta a decollare un vero sistema di cure territoriali per i pazienti oncologici cronici – prosegue Pierfranco Conte, presidente di Fondazione Periplo e professore di Oncologia medica a Padova -. Più in generale l'assistenza, spesso deficitaria, offerta dal territorio rientra nel più amplio problema della mancata attivazione operativa delle Reti oncologiche regionali. Anche il coinvolgimento del medico di medicina territoriale risulta molto limitato. Il nostro obiettivo deve essere limitare il più possibile gli accessi ospedalieri dei malati che potrebbero invece recarsi ai distretti dell'Asl per ricevere trattamenti orali continuativi e anche terapie parenterali. Questo rappresenterebbe un indubbio vantaggio per i pazienti non obbligati ad andare in ospedali a volte lontani, per i reparti di oncologia medica spesso sovraccarichi e anche per la ricerca clinica consentendo di acquisire informazioni rilevanti da pazienti spesso non inclusi in studi clinici complessi. È evidente però che questo deve avvenire senza compromettere la qualità dell'assistenza garantendo sul territorio competenze specialistiche oncologiche in diretta dipendenza con i reparti ospedalieri di oncologia».
«Negli ospedali vanno gestiti solo i casi acuti più gravi e le terapie più impegnative – aggiunge Beretta -. Bisogna però creare un sistema alternativo che funzioni realmente anche a livello burocratico perché ancora troppi pazienti devono andare in ospedale solo per ricevere una terapia orale che poi dovranno assumere a casa».
L’impegno delle associazioni dei pazienti
Le associazioni dei pazienti da anni si battono affinché sia riconosciuto a ogni persona il corretto trattamento e perché sia scongiurata anche a chi è guarito la cosiddetta “tossicità finanziaria”: quella che ti porta a “rischiare di morire non più di tumore ma di fame”, come ha ben esemplificato un “cronicizzato”. «Da tempo sosteniamo la necessità di una legge sul diritto all'oblio - spiegano Antonella Campana (IncontraDonna), Ornella Campanella (aBRCAdabra) e Monica Forchetta (APaIM – Associazione pazienti italia melanoma) -. Come dimostrano i dati e le storie personali di molti nostri associati, i tumori sono tutt'altro che invincibili. Non vanno sottovalutati ma nemmeno più considerati come malattie incurabili. Spetta quindi alle nostre istituzioni, e in primis Parlamento e Governo, prendere atto della nuova realtà e legiferare a favore di tutte le donne e gli uomini che vogliono lasciarsi alle spalle l'esperienza cancro».
«I pazienti sia cronici sia completamente guariti devono poter tornare alle normali attività lavorative – conclude Elisabetta Iannelli, segretario generale Favo, Federazione italiana associazioni di volontariato in Oncologia -. Ciò deve avvenire rispettando i tempi e i bisogni di persone che comunque hanno necessità diverse rispetto agli altri lavoratori. Fondamentale è la riabilitazione non solo a livello fisico ma anche psicologico e sociale. Consente di reinserire, là dove possibile, più precocemente le persone nel sistema lavorativo e nella società civile, ed è di aiuto nel superare le gravi difficoltà anche economiche indirettamente causate dal tumore. Le associazioni dei pazienti chiedono che, in linea con le indicazioni della Commissione Europea, venga garantita la riabilitazione oncologica e che, pertanto, sia inserita nei Lea».
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