il nodo tassi di interesse

Turchia, lira sotto pressione dopo che l'inflazione schizza al 15%

di Vittorio Da Rold

“Grazie Istanbul!”, recita il manifesto con l’effigie di Recep Tayyip Erdogan , sul Galata Bridge (Foto Afp)

3' di lettura

La lira e le obbligazioni turche sono crollate dopo che l'inflazione in Turchia ha accelerato più del previsto, alimentando la preoccupazione degli investitori internazionali - che garantiscono il finanziamento del deficit delle partite correnti al 6% del Pil - sulla capacità della Banca centrale di contenere le pressioni dei prezzi al consumo. Il ritmo annuale degli aumenti dei prezzi è accelerato al 15,39% in giugno, il più veloce dall'ottobre 2003, 14 anni or sono, e ben al di sopra della stima media del 13,90% elaborata in un'indagine della agenzia Bloomberg.

Mentre la Turchia ha aumentato i tassi di interesse di 500 punti base da aprile, vincendo le residenze di Erdogan che non voleva un rialzo del costo dei tassi alla vigilia del voto anticipato, un deprezzamento quasi del 20 percento nella valuta intervenuto quest'anno ha spinto i prezzi delle importazioni ad aumentare considerevolmente. L'inflazione sta attualmente superando di circa tre volte l'obiettivo ufficiale della banca centrale.

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Questo è il “prezzo pagato dalla banca centrale di Turchia, CBRT, che è rimasta cauta per troppo tempo”, ha detto Timothy Ash, uno stratega di BlueBay Asset Management. “Ora il lavoro è molto più difficile perché devono dimostrare le loro credenziali di voler lottare contro l'inflazione”. E soprattutto la loro autonomia dopo che Erdogan ha vinto le elezioni e non dimostra di voler accettare un incremento dei tassi bancari.

La lira ovviamente come avviene in questi casi è crollata dell'1,4% a 4,6626 e il rendimento sull'obbligazione a 10 anni è salito di 26 punti base al 17,16%.
sull'obbligazione a 10 anni è salito di 26 punti base al 17,16%.

Il clima generale
Gli investitori si chiedono se i motivi di fondo della crisi tra Erdogan e la Banca centrale siano stati eliminati. Naturalmente il presidente continua a sostenere che la banca centrale è indipendente ma molti investitori non gli credono più. Erdogan ha smesso di ascoltare i consiglieri come Mehmet Simsek, il vice primo ministro per l'economia ed ex banchiere Merrill Lynch che era stato messo in un angolo a favore di altri consiglieri che aveva suggerito di sfidare i mercati.
Gli investitori stranieri dal novembre 2002, anno della vittoria dell'Akp, il partito di Erdogan, hanno investito massicciamente in Turchia. Il reddito pro capite è passato in dieci anni da 2.500 dollari a 10mila facendo uscire milioni di persone dalla povertà.

Il governo AKP ricordava che l'economia è tornata a salire nel 2017 del 7,4%. Vero ma questa crescita, tuttavia, è stata accompagnata dal deficit delle partite correnti che si è ampliato al 6% del Pil e dall'inflazione che ha raggiunto quasi l'15,39%. La Turchia ha il 33% aziende indebitate in valuta estera e questo la rende vulnerabile a rialzi dei tassi americani o del dollaro.

Durante una visita a Londra nel mese di maggio, Erdogan ha detto alla Bloomberg tv che avrebbe assunto un maggiore controllo della politica monetaria. Quello è stato un segnale di allarme. “Anche la sola minaccia di interferenze politiche nel fissare i tassi di interesse danneggerà l'economia turca - ha dichiarato Durmus Yilmaz, governatore della Banca centrale turca dal 2006 al 2011 e ora consulente di un partito di opposizione di nuova formazione, lo IYI Parti, il Buon partito, della signora Aksener, ex ministro degli Interni turco.
“Questa retorica è estremamente pericolosa e metterà la Turchia in una strada senza uscita”, ha detto Yilmaz in un'intervista rispondendo alle osservazioni di Erdogan. “La Turchia ha provato la stessa vicenda nel 1994 ed è così che siamo finiti con una crisi in cui i tassi di interesse, che all'epoca i politici ritenevano troppo alti, hanno superato il 400%”. Solo un governo tecnico alla fine rimise i conti in ordine e diede stabilità al paese dopo una attenta pulizia nei conti bancari. Ma la lezione è stato presta dimenticata.

Ora il deficit delle partite correnti è arrivato a 47,2 miliardi di dollari (5,6% del Pil) rispetto ai 33,1 miliardi (3,6% del Pil) dell'anno precedente. Inoltre le riserve valutarie ammontano a soli 87,9 miliardi di dollari. Questo dato si deve rapportare con un fabbisogno finanziario estero pari, secondo dati EIU, a 222 miliardi di dollari nel 2018. Insomma le imprese turche rischiano di dover pagare un conto salato per l'instabilità valutaria del Paese della Mezzaluna sul Bosforo.

Quello che serve, dopo l'aumento dei tassi, e la percezione che si sia capita la lezione seguita dai segnali di un cambiamento di politica dopo il giro sulle montagne russe degli ultimi mesi. Ma il clima di incertezza sulla politica monetaria rimane elevato in un clima generale dove i mercati emergenti sono sotto forte pressione in seguito all'aumento dei tassi della Federal Reserve americana e la fine del Qe.

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