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Ancora forti tensioni sulla lira turca. Questa volta la causa scatenante è stata un’improvvisa scarsità di lire sul mercato monetario, tale da far schizzare il tasso a breve (overnight) sugli swap valutari fino al 1.200 per cento. Secondo diversi operatori di mercato, il fenomeno è dovuto alla deliberata scelta delle banche turche di scoraggiare le vendite allo scoperto di lire nel tentativo di sostenere il corso della valuta nazionale alla vigilia delle delicate elezioni amministrative di domenica 31 marzo. Il voto è una sorta di nuovo referendum sul presidente Erdogan, con sfide cruciali per il governo di metropoli come Istanbul e Ankara.
Il capo dell’associazione bancaria ha smentito questa ricostruzione senza tuttavia fornire una spiegazione alternativa. Secondo un analista interpellato dal Financial Times, le banche turche hanno spiegato che «è stato ordinato loro di non prestare una sola lira turca a controparti estere», con l’obiettivo di stroncare lo short selling che ha colpito pesantemente la divisa di Ankara.
Le drastiche misure adottate dalle banche turche hanno costretto gli investitori che vogliono uscire dalle loro posizioni in lire a vendere altre attività finanziarie. Così il rendimento biennale delle obbligazioni turche ha superato il 20%. Il costo per assicurarsi contro il pericolo di un default sul debito turco è salito a 453 punti base, cento in più della settimana scorsa, mentre la Borsa di Istanbul ha ceduto il 5,7 per cento, in quella che è stata la sua peggior seduta dal luglio 2016.
«Non ho mai visto una mossa come questa nei 21 anni in cui seguo questo mercato - ha detto all’agenzia Bloomberg Julian Rimmer, un trader di Investec Bank Plc con sede a Londra - Questo significa sacrificare il pragmatismo a lungo termine per un espediente politico a breve termine. Queste tattiche fanno dubitare dell’opportunità di investire nella lira turca».
La valuta è da tempo sotto pressione. Nel 2018 è crollata da 4,5 fino a 7,8 contro l’euro, poi ha provato a recuperare ma resta debole (oggi è scambiata a 6,20 contro la moneta unica). Il crollo della moneta ha fatto impennare l’inflazione ben oltre il 20%, con picchi superiori per frutta e verdura, tanto che il governo è dovuto correre ai ripari imponendo controlli e organizzando punti vendita con prezzi calmierati.
Al di là delle mosse speculative, è un fatto che gli investitori diffidano di un’economia in chiara difficoltà. Il Pil è entrato ufficialmente in recessione nel secondo semestre del 2018 e ha ridimensionato il tasso di crescita dell’intero anno al 2,6 per cento. L’inflazione a ottobre ha toccato il picco al 25% in seguito alla crisi valutaria, una crisi che la Banca centrale ha cercato di arginare portando il tasso di interesse di riferimento al 24 per cento.
Le nuove tensioni sulla lira turca, in un effetto domino assai frequente sui mercati emergenti, si sono ripercosse su altre valute.La più colpita è stata ancora una volta il peso argentino, scivolato al nuovo minimo storico di 43,90 contro il dollaro Usa. Pressioni ribassiste si sono registrate anche su real brasiliano e rand sudafricano.
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