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Tutte le avventure che una persona può vivere

La storia vera di due sorelle ebree - in «L’Alto Nido» di Roxane Van Iperen - è in libreria per i tipi di Bompiani

di Alberto Fraccacreta

3' di lettura

Roxane van Iperen è un'ex-avvocatessa olandese, oggi giornalista e scrittrice, che vive a Naarden, città-fortezza di 17.000 abitanti situata nel nord dei Paesi Bassi. La conformazione fisica di Naarden è una stella, con sei bastioni a doppia cinta muraria circondati da un doppio fossato ricolmo di acque e sottili strisce di terra. Isolotti sparsi qua e là, strade acciottolate, vegetazione lussureggiante — tigli e crochi troneggiano la scena —, Grote Kerk, la grande basilica gotica risalente al 1479: eppure nulla che colpisca l'attenzione come una pensosa villa ricoperta dall'edera. «Non appena imbocchiamo il sentiero nel bosco e la casa spunta tra gli alberi, è amore a prima vista. Non corrisponde affatto alla tradizionale casetta di campagna che stavamo cercando — questa abitazione è enorme e ha perfino un nome: 't Hooge Nest, “L'Alto Nido”...».

Nel 2012 la Iperen va ad abitarci con il marito, i tre figli, i tre gatti e un pastore tedesco, ristrutturando i muri e smerigliando le scale. Ma il frutteto alle spalle della villa, la moquette, il lavabo in porcellana, le botole e i cunicoli, i mozziconi di candela, gli spartiti musicali e soprattutto vecchie riviste della resistenza antifascista sembrano strizzare l'occhio agli inquilini. Cosa vogliono? Quale mistero nasconde l'Alto Nido? Perché ogni oggetto freme dalla voglia di parlare?

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«Ho intervistato l'ex proprietaria di casa, i vicini del quartiere e i negozianti dei paesi limitrofi, mi sono tuffata in catasti e archivi e mi sono stupita più e più volte. Al culmine della seconda guerra mondiale, quando i treni viaggiavano a pieno carico verso i campi di concentramento e la Endlösung der Judenfrage, la “soluzione finale della questione ebraica”, cominciava a prendere forma compiuta, L'Alto Nido divenne un enorme centro di resistenza e riparo per clandestini, sotto la guida di due sorelle ebree».

Le due sorelle sono, per la precisione, Janny e Lientje Brilleslijper: in L'Alto Nido (traduzione di Francesco Panzeri, Bompiani, pp. 464, € 19) la Iperen racconta la loro storia, iniziata in una fredda notte di febbraio del '43 quando, in fuga da Bergen, con i mariti Bob e Eberhard e i figli arrivano a tentoni nei pressi della fitta brughiera che serra la villa. «Non appena Janny si trova fra i tronchi scuri, avverte la tensione scivolare via dalle spalle, è come se si sentisse a casa. A destra dello stretto sentiero spunta un'ombra enorme. Tutto intorno i rami gemono e gli alberi dondolano al ritmo del vento, ma la casa si staglia massiccia e imperturbabile, come se non fosse affatto impressionata. Ha smesso di piovere e oltre la coltre di nubi una timida luna si affaccia sulla distesa che il gruppo ha appena superato».
Qui in poco tempo e a pochi metri di distanza dalle abitazioni dei leader del Movimento nazionalsocialista olandese, Janny e Lientje (che dopo la guerra divenne una cantante yiddish con lo pseudonimo di Lin Jaldati) allestiscono un rifugio per i profughi ebrei che è anche un luogo d'arte e di allegria, in un'atmosfera musicalmente calorosa che sfida il terrore delle persecuzioni. Nel giugno dell'anno successivo, però, le sorelle e le loro famiglie sono arrestate. Trasferite a Westerbork e poi ad Auschwitz, conosceranno Anne e Margot Frank: saranno le ultime a vederle nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, si prenderanno cura di loro fino agli ultimi giorni e le seppelliranno in una fossa comune.

Negli anni successivi al genocidio e alla fine della guerra (Lientje morirà a Berlino Est nel 1988 e Janny ad Amsterdam nel 2003) la memoria dell'Alto Nido rimarrà integra. Ecco il ritratto definitivo che ne fece Janny: «Una villa enorme con un ampio prato e un pezzo di bosco, arrivava quasi fino al lago. Lì, con i nostri ospiti clandestini, abbiamo vissuto tutte le avventure che una persona può vivere».

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