l'analisi dello iese

Tutti i successi di Draghi alla Bce

di Juan José Toribio

3' di lettura


Che Mario Draghi abbia svolto con grande efficacia il suo mandato di presidente della Banca centrale europea è indiscutibile. Quando assunse la carica, nel novembre del 2011, portò all’Eurotower sia credenziali accademiche (un dottorato in economia al Mit) che conoscenze pratiche (acquisite nel mondo della finanza come alto dirigente della Goldman Sachs).
Draghi ereditò una situazione complicata nell’Eurozona, ma affrontò le sfide con placida risolutezza. È rimasto famoso il discorso del «whatever it takes», nel 2012, quando annunciò un’espansione monetaria senza precedenti all’interno dell’Unione europea: «La Bce è pronta a fare tutto quello che sarà necessario per preservare l’euro; e credetemi, sarà sufficiente».
L’istituto di Francoforte successivamente ridusse il tasso di interesse base allo 0%, penalizzò le riserve liquide delle istituzioni finanziarie dello 0,4%, mise in piedi un meccanismo di prestiti agevolati a breve termine per il settore bancario e acquistò grandi quantità di obbligazioni.
Con queste misure, Draghi ha garantito la continuità della moneta unica europea, contribuito alla ripresa dell’economia e portato il tasso di cambio dell’euro a livelli più favorevoli.
Insomma, alla luce di tutto questo, la storia ricorderà Draghi come un presidente dal bilancio impeccabile? La mia risposta è: «Quasi, ma non del tutto». Non lo dico per sminuire i considerevoli successi del presidente uscente della Bce, ma alcuni effetti collaterali negativi delle sue politiche vanno riconosciuti.
Una complicazione seria, durante l’era Draghi, arrivò nel novembre 2013, quando la Bce si assunse la responsabilità di garantire la stabilità e la solidità del sistema bancario europeo, funzione che prima non rientrava fra i suoi compiti. Nuovi meccanismi diedero alla Bce il diritto esclusivo di accordare licenze per l’esercizio dell'attività bancaria nel territorio e la piena autorità di monitorare le banche esistenti.
Qui sono cominciate le contraddizioni. I profitti delle banche europee sono stati spinti verso il basso da misure di politica monetaria adottate da un’istituzione che, paradossalmente, ha anche la responsabilità di garantire la solvibilità di queste entità. Non è mai facile conciliare gli obiettivi del denaro a buon mercato e della solvibilità degli istituti di credito. Draghi non ha fatto eccezione.
La cosa non è stata subito evidente, perché l’iniziale ripresa dell’Eurozona ha fatto calare il volume dei prestiti in sofferenza e la necessità di cautelarsi con accantonamenti. Inoltre, il denaro che le banche otteneva a tasso zero poteva essere investito in titoli di Stato, che offrivano ancora una certa redditività.
Ma la tendenza si è rapidamente invertita. L’imponente piano di acquisti di titoli di Stato da parte della Bce ha bruscamente spinto in giù la loro redditività. Nel momento in cui scrivo, una parte rilevante delle obbligazioni emesse dai Governi dell’Eurozona mantiene i tassi di interesse al di sotto dello zero. È una situazione insostenibile per le banche, e confonde gli investitori, che si sentono chiedere, contro ogni aspettativa, di pagare per il dubbio privilegio di prestare denaro a un Governo.
La conseguenza di tutto questo è che le curve temporali dei tassi di interesse si sono stabilizzate o addirittura hanno invertito la tendenza, con effetti molto negativi sul conto economico delle banche europee. E una redditività tanto modesta è chiaramente più bassa del «costo del capitale». Com’è ovvio, se la redditività resterà al di sotto del costo stimato del capitale per un periodo lungo, le banche europee avranno serie difficoltà a raggiungere il livello di risorse imposto dalle normative, e soprattutto a ottenere quegli incrementi di capitale che possono metterle nelle condizioni di mantenere quel livello quando il loro bilancio cresce.
Questa situazione deriva in gran parte dalla politica monetaria della Bce, come riconosciuto dalla debolezza delle quotazioni dei titoli azionari delle banche europee sui mercati dei capitali. È indubbio che le politiche di Draghi abbiano messo in discussione la redditività e la solidità finanziaria delle banche europee, che adesso dovranno far vedere se la loro capacità manageriale interna raggiunge il livello richiesto nei mercati internazionali.

Juan José Toribio è professore emerito di Economia presso la Iese Business School
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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