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Twitter, la versione di Elon Musk (tra libertà di parola e lotta all’anonimato)

Il miliardario padrone di Tesla vuole ribaltare il modello del social network: «free speech» per tutti, ma blocco totale ai bot. E se avesse ragione?

di Carlo Melzi d'Eril, Giulio Enea Vigevani

Twitter, Elon Musk: "E' stato sbagliato e stupido bandire Trump"

3' di lettura

Elon Musk ha dichiarato di avere sospeso l’acquisto di Twitter, in attesa di conoscere se la percentuale di account falsi fosse o meno inferiore al 5% del totale, come era stato inizialmente indicato. La circostanza è evidentemente assai rilevante per l’imprenditore sudafricano e la cosa non stupisce. Al momento della manifestazione di interesse per il social network, e anche dopo avere diffuso la notizia dell’accordo raggiunto, lui stesso ha spiegato quali regole voleva cambiare.

Totale libertà di parola

Ha fatto molto scalpore, ed è stata molto commentata, la sua intenzione di garantire maggiore libertà agli utenti, lasciando intendere che avrebbe consentito la pubblicazione di quanto oggi vietato.

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In particolare Musk si riferiva a contenuti menzogneri e di pura propaganda politica, come quelli attribuiti a Donald Trump, il cui profilo era stato addirittura sospeso a tempo indeterminato proprio poiché ritenuto un diffusore seriale di falsità. Questo aspetto del programma è stato assai criticato poiché, soprattutto in Europa, i legislatori nazionali e sovranazionali stanno andando nella direzione opposta.

Mezzi tradizionali insufficienti

Il contesto è noto: è pressoché impossibile, con i tradizionali mezzi dell’ordinamento, ovvero un procedimento giurisdizionale, verificare la liceità dei numerosissimi messaggi diffusi e di punire quelli illeciti, per mancanza di uomini e mezzi a fronte dell’aumento esponenziale delle pubblicazioni, in primis attraverso i social network.

Di fronte a questo stato di cose, gli ordinamenti del vecchio continente stanno «appaltando» sempre più ai gestori degli spazi telematici il governo del web, nel senso della valutazione e cancellazione dei contenuti illeciti.Questa tendenza è forse in una certa parte inevitabile.

Lo Stato abdica al suo ruolo

Tuttavia, un simile indirizzo, se estremizzato, genera non poche distorsioni: da un lato, lo Stato abdica almeno in parte a uno dei propri ruoli, ovvero quello di regolare i rapporti tra i cittadini quando sono in gioco diritti fondamentali, e di farlo attraverso procedimenti definiti per legge e con le garanzie costituzionali. Dall’altro, enti privati, come le aziende che gestiscono grosse «fette» di comunicazione e informazione online, che già somigliano ad oligopoli, quando non per determinati settori a monopoli, vanno assumendo poteri (e si tenta di imporre loro doveri) che dovrebbero spettare soltanto al servizio pubblico, sottoposto per questo a regole e controlli peculiari. E allora, ci pare, ben venga una soluzione, almeno leggermente diversa, per evitare di rinunciare del tutto a regolare la rete, ma anche di stravolgere l’ordinamento e i contropoteri che lo compongono.

La proposta di Musk

La proposta di Elon Musk sembra appunto andare in questa direzione: evitare interventi diretti sui contenuti da parte delle piattaforme se non in casi estremi, ma aumentare al contempo la trasparenza, escludendo tout court gli account «bot», generati da programmi automatizzati, e limitando il più possibile l’anonimato.Ciò dovrebbe produrre alcuni effetti benefici, primo tra tutti quello di indurre un salutare self restraint in coloro che, confidando nell’impunità, si lasciano andare a intemperanze verbali. Sappiamo bene che, in verità, il nom de plume in rete è svelabile. Tuttavia, è comprensibile che la polizia giudiziaria impieghi le risorse a propria disposizione nello scovare l’identità degli autori dei delitti più gravi, fortunatamente non i più frequenti, certo non per le diffamazioni.

Se però fosse sufficiente una richiesta alla piattaforma per avere i dati identificativi del titolare di un account, una simile prospettiva avrebbe la conseguenza di responsabilizzare chi scrive. Se sai di poter essere facilmente scoperto, ti comporti come se tutti già conoscessero il tuo nome. Non solo: ridurre bot e anonimato renderebbe più difficile l’attività di inquinamento dei social da parte di soggetti, spesso Stati stranieri, che mirano a orientare il discorso pubblico attraverso la diffusione intenzionale di informazioni distorte, specie attraverso sistemi automatizzati. Così, si potrebbe giungere a una disciplina generale nella quale la piattaforma è indotta a dotarsi di filtri per eliminare i bot e cancellare insulti, espressioni d’odio, pornografia minorile e altri contenuti, non solo illeciti, ma soprattutto facilmente riconoscibili come tali.

Mentre per gli altri contenuti, in relazione ai quali la verifica dell’illiceità è più complessa, come accade nel caso delle diffamazioni prive di contumelie, ci si dovrà affidare, per ottenere la rimozione e la punizione dei colpevoli all’autorità giudiziaria, la cui opera sarà facilitata dal non dover impiegare energie investigative alla ricerca dell’identità dell’autore del fatto. La limitazione dell’anonimato, assieme a una trasparenza dell’algoritmo, pare un buon accorgimento per governare la libertà di espressione in rete, stando però all’interno di quel bilanciamento di diritti e garanzie tipiche appunto degli Stati liberali occidentali, che tutti abbiamo forse un po’ pericolosamente dati per scontati negli ultimi anni. E i cui principi, invece, all’interno di una democrazia come la nostra, ci sentiamo di dover ribadire oggi che bussano alle porte dell’Europa regimi di tutt’altra impostazione.


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