Uber pronta a sbarcare a Wall Street
di Riccardo Barlaam
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NEW YORK - Uber ha presentato alla Sec i documenti per la quotazione a Wall Street. L’Ipo verrà lanciata nei primi mesi del 2019 e si preannuncia come l’evento dell’anno. Una delle cinque più grandi di sempre, considerando la valutazione della società californiana che da una start up lanciata nel 2009, si è trasformata in un colosso della mobilità alternativa globale. Nell’ultimo funding, a ottobre, Uber valeva 76 miliardi. Stando ai tabulati presentati dalle banche per l’Ipo la società di “ride sharing” due mesi dopo viene valutata 120 miliardi di dollari.
La quotazione di cui si parla da mesi sarebbe dovuta avvenire nella seconda parte del 2019. Ma il processo è stato accelerato dopo che martedì la rivale Lyft ha presentato a sua volta i documenti per la quotazione alle autorità regolamentari. Chi arriva primo si spartisce la torta. E così la società di San Francisco ha rotto gli indugi e deciso di anticipare l’Ipo, nonostante il momento poco favorevole dei mercati finanziari.
Il nuovo ceo
Da poco più di un anno Uber è guidata dal manager americano di origine iraniana Dara Khosrowshahi, 49 anni. Uno dei ceo più pagati della Silicon Valley, che ha costruito la sua fama ai vertici di Expedia, di cui è stato amministratore delegato per una decina d’anni. Facendola diventare una delle più grandi agenzie di viaggio online al mondo, con fatturato passato dai 2,2 agli 8,7 miliardi 2016. Oltre a preparare il percorso verso la quotazione, il nuovo ceo di Uber ha cercato di migliore la reputazione della società al termine di un anno terribile in cui è stata travolta da una lunga serie di scandali legati a organizzazione del lavoro, rispetto della diversità, con casi di molestie sessuali che hanno costretto alle dimissioni forzate il suo predecessore, il co-fondatore Travis Kalanick. Kalanick ha lasciato la carica di ceo ma è rimasto lunghi mesi a battagliare nel board per il controllo della società con inevitabili problemi nella gestione corrente. Alla fine ha vinto il manager iraniano.
Khosrowshahi per accettare la sfida di far ripartire l'automobile ammaccata di Uber sembra abbia ricevuto un ingaggio di 200 milioni di dollari. A cui ogni mese aggiunge uno stipendio di 8 milioni. La prima cosa che ha fatto in questi mesi è stata quella di tentare cambiare la “cultura aziendale da Game of Thrones”, come l’ha definita qualcuno, che ha caratterizzato la tormentata gestione Kalanick. Ora lancia l'Ipo dell’anno.
L’utile ancora non c’è
Uber è una straordinaria macchina da soldi, ma continua a bruciare denaro e non produce utili. Presente in 785 metropoli e 70 nazioni, con il 70% del mercato americano dei taxi via app, ha una ragnatela di partecipazioni incrociate in altre società di ride-sharing in Asia, Russia, Medio Oriente. Oltre ai taxi via app Uber si è allargata nella logistica, con un'app per camion e container, nel food delivery, nell'affitto di scooter e bici elettriche. Ha una divisione che studia la guida autonoma che costa 800 milioni l'anno.
Nel terzo trimestre, tra luglio e ottobre, Uber ha perso 1,07 miliardi, nonostante i 2,95 miliardi di ricavi: +38% sullo stesso periodo 2017, ma in calo rispetto al secondo trimestre (+63%) per la diversificazione delle attività e l'aumento dei competitor. Il mercato della mobilità condivisa mondiale vale 6mila miliardi di dollari l'anno. I player sono tanti. E nessuna società può pensare di riuscire ad operare da leader in tutto il mondo.
I round di finanziamento
Dalla sua fondazione nel 2009 Uber ha lanciato 21 round di finanziamento, per un totale di 24,2 miliardi raccolti. Gli ultimi investitori, in ordine di tempo, sono Toyota che a ottobre ha staccato un assegno di 500 milioni per una partnership sulla guida autonoma. Il fondo sovrano saudita Pif con 1,5 miliardi. La giapponese SoftBank, a sua volta partecipata dai sauditi, che ha investito in Uber 7,7 miliardi direttamente, e 1,3 miliardi attraverso il fondo tech Vision.
Morgan Stanley e Goldman Sachs sono le banche capofila che dovrebbero seguire il collocamento.
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