Ubi, strada in salita per respingere l’assalto di Intesa
Difficili fusioni alternative e arrocco, l’unica via è provare ad alzare la posta
di Antonella Olivieri
3' di lettura
Alzare la posta non è certo l’obiettivo ultimo di Ubi, che probabilmente preferirebbe mantenere l’indipendenza anzichè essere inglobata da Intesa. Ma vendere cara la pelle è forse l’unica strada da tentare per cercare di farsene una ragione. Perchè le altre strade, sulla carta, paiono tutte in salita, tenuto conto che l’interlocutore principale è il mercato, dato che almeno il 70% del capitale di Ubi è flottante.
La fusione alternativa
Decenni di sfoltimento di quella che una volta veniva chiamata la foresta pietrificata ha drasticamente ridotto anche il numero delle aggregazioni possibili. La più plausibile, probabilmente, sarebbe stata una fusione con Bper, ma Intesa l’ha preventivamente tirata dalla sua parte promettendole la dote di 400-500 sportelli che stima di dover dismettere se riuscirà ad annettere la banca bergamasco-bresciana.
Gli abboccamenti tra Ubi e Bpm non hanno prodotto risultati e non sono utilmente risfoderabili oggi. Il problema di governance resterebbe - chi comanderebbe tra le due? - e la proposta finanziaria di Intesa non sarebbe comunque superabile. Perchè invece di ricevere azioni a premio i soci di Ubi rischierebbero di dover mettere mano al portafoglio per un aumento di capitale, se hanno ragion d’essere le voci che attribuivano il fallimento dei contatti tra le due ex popolari lombarde all’esigenza di dover iniettare fino a 4 miliardi di mezzi freschi per portare i ratio dell’ipotetica aggregazione al livello desiderato dal regolatore.
Evidente che tanto meno possono essere prese in considerazione ipotesi di combinazione con istituti che hanno ancora problemi da risolvere, vedi Mps, mentre tutte le altre quotate - ammesso e non concesso che ne abbiano interesse - sono troppo piccole per costituire un’alternativa praticabile. Gli unici soggetti che potrebbero offrire più di Intesa - secondo gli analisti - sono UniCredit, Bnp (che in Italia ha Bnl) e l’Agricole (che ha Cariparma). Ma la banca guidata da Jean Pierre Mustier si è già chiamata fuori. E gli altri due gruppi avrebbero l’handicap di giocare da stranieri sul terreno del padrone di casa, fermo restando che l’indipendenza sarebbe persa comunque.
L’arrocco
Contare sull’arbitro perchè fischi il fallo, visto che l’operazione allo stato è reputata ostile dalla banca-preda, in questo caso sarebbe poco più che un wishful thinking. Perchè nel nuovo corso della vigilanza europea un ulteriore consolidamento del settore su base nazionale è più che auspicato.
Potrebbe discutersi se questa visione, in prospettiva, non comporti anche dei rischi per il sistema italiano, ma questo oggi è il dato di fatto. In teoria il patto di consultazione tra il gruppo di soci che riunisce circa del 18% del capitale potrebbe rafforzarsi fino alla soglia dell’Opa del 30% per ostacolare l’avanzata di Intesa. Ma si tratterebbe di un arrocco costosoperchè, dai meno dei 3 euro di lunedì 10 febbraio a ieri, il titolo Ubi ha guadagnato più del 40%. E se Intesa rinunciasse all’offerta, le quotazioni dell’ex popolare scivolerebbero inevitabilmente indietro: non sarebbe agevole vedersela con il restante 70% del capitale.
Tirare sul prezzo
Ci si può provare, anche se Messina non pare disposto a trattare sul prezzo. In questi giorni solo Intermonte è uscita esplicitamente con la raccomandazione “non aderite all’offerta”. Il ragionamento è che quanto messo sul piatto da Intesa non riflette adeguatamente il miglioramento della qualità degli asset, la solidità patrimoniale e la positiva direzione degli utili della banca.
Il tasto su cui insiste la nota - che porta la data del 18 febbraio - è che l’offerta valorizzerebbe circa 0,6 volte il book value di Ubi, ben al di sotto dei livelli a cui è trattata Intesa (il mercato però finora aveva scontato ancora di più il valore di libro di Ubi). Altri elementi addotti a supporto sono l’asset fiscale da 2,6 miliardi in pancia a Ubi, che aiuterebbe Intesa a ridurre il tax rate e a potenziare il capitale. Ultima considerazione: le diverse fabbriche prodotto di Ubi (dalla bancassurance alla joint Pramerica nell’asset management) se cedute - è il calcolo degli analisti - potrebbero facilmente generare 1 miliardo di capitale che permetterebbe di ripagare parte del costo dell’acquisizione.
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