ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùDopo il vertice di Vilnius

Ucraina nella Nato tra strategie e nuovi equilibri

La natura del regime russo e le incertezze della politica americana dovrebbero spingere l’Ue a un ruolo più forte

di Sergio Fabbrini

(Epa)

4' di lettura

Non è stata fissata la data per l’entrata dell’Ucraina nella Nato, ma è stato rafforzato l’impegno della Nato ad aiutare militarmente l’Ucraina a contrastare la Russia. Nella riunione dei capi di governo dei 31 Paesi che costituiscono la Nato (tenutasi a Vilnius, in Lituania, l’11 e il 12 luglio scorsi) ha vinto la continuità: continuare a combattere la Russia, senza dichiararle guerra. Una continuità operativa sostenuta da una chiarezza strategica. Contrariamente alle incertezze che ancora sopravvivevano nella riunione della Nato a Madrid del 29-30 giugno dell’anno scorso, a Vilnius nessun capo di governo (neppure il turco Recep Erdogan) ha mostrato di avere dubbi sulla natura del regime russo, aggressivo e imperialista per sua dinamica endogena e non già per reazione a sfide esogene. La Russia, non solamente è un Paese politicamente inaffidabile, ma è un Paese strutturalmente pericoloso.

Non ha un sufficiente pluralismo di interessi economici per neutralizzare l'aggressività del regime politico, non dispone di una società civile sufficientemente autonoma da quest'ultimo per generare alternative ad esso. Per dirla con Timothy Snyder, la Russia è un regime autoritario che si basa sul gas e sulla bomba atomica. È un Paese pericoloso, ma non è un rivale strategico dell'Occidente (come lo fu l’Unione Sovietica). Alla fine della giornata, la sua arma principale è la disinformazione (che costa relativamente poco), alimentata da cosiddetti esperti che non mancano anche nel nostro Paese. In questo contesto, va collocata la discussione sul futuro dell’Ucraina. A Vilnius, gli ucraini si aspettavano un impegno preciso (con una data precisa) per l’entrata del loro Paese nella Nato. Così non è avvenuto. Nel documento finale, la Nato si impegna ad avviare l’integrazione dell’Ucraina quando ci sarà «un consenso tra gli alleati e le condizioni saranno soddisfatte». Di qui, la delusione (poi edulcorata) del presidente Volodymyr Zelensky. Se le ragioni della insoddisfazione di Kiev sono comprensibili, comprensibili sono anche le ragioni che hanno spinto gli americani (con il sostegno dei tedeschi) a non fissare date e a non prendere impegni. Formalizzare l’impegno ad integrare l’Ucraina “quando la guerra sarà finita”, come richiesto da Kiev, avrebbe consegnato a Vladimir Putin un alibi per prolungare indefinitamente la guerra. Formalizzare lo status dell'Ucraina come “alleato Nato”, come richiesto da Kiev, avrebbe condotto ad un coinvolgimento diretto dell’organizzazione nel conflitto. Se i leader della Nato hanno condiviso la valutazione sull’imperialismo della Russia, ciò non significa che le loro opinioni interne siano disponibili a sostenere una guerra con quest’ultima. Per opportunismo politico o per interesse economico, non mancano nei governi dei Paesi Nato forze che vorrebbero ritornare alla condizione precedente al 2022. Basta pensare che, in Italia, la Lega continua ad avere un solido rapporto organizzativo con il partito di “Russia Unita” di Vladimir Putin oppure che, in Germania, settori del Partito socialdemocratico (rappresentati dall'ex cancelliere Gerhard Schröder) continuano a ritenere la Russia un “Paese amico”. Ma è soprattutto in America che un coinvolgimento diretto soffierebbe il vento nelle vele del trumpismo. In un documento preparatorio della futura campagna elettorale di Donald Trump, reso pubblico da l’Economist, si sostiene che la libertà dell’Ucraina non costituisce un interesse nazionale per l’America. In un articolo pubblicato recentemente su Foreign Affairs, due studiosi di geopolitica del Cato Institute (una fondazione della destra repubblicana), Justin Logan e Joshua Shifrinson, sostengono che l’Ucraina «non deve entrare nella Nato» perché i costi supererebbero di gran lunga i vantaggi. L’America dovrebbe usare tutte le sue risorse per contrastare la Cina, non già disperderle per contenere semi-potenze come la Russia. Quest’ultima, semmai, è un problema per gli europei, non già per gli americani. Proprio tenendo presente queste sfide interne, il team di politica estera della presidenza americana (guidato, in particolare, da Jake Sullivan) ha spinto verso la continuità nella gestione della guerra (farla senza dichiararla). Contemporaneamente, ha spinto per aumentare gli aiuti economici all’Ucraina, anche grazie ad un impegno straordinario del Paesi del G7 (con la premier Meloni che si è comportata come una partner affidabile sia del G7 che della Nato). Poiché l’invasione dell’Ucraina non è stata motivata da un’espansione della Nato, non vi sarebbe alcuna ragione per impedire la sua integrazione in quest’ultima organizzazione. Dal punto di vista della sicurezza, peraltro, l’entrata della Ucraina nella Nato sarebbe più strategica della sua entrata nell’Ue. È diritto degli ucraini stabilire cosa fare della loro sovranità, decidendo a quale organizzazione di difesa partecipare, un diritto che nessuno (a Mosca o altrove) può mettere in discussione. Nello stesso tempo, è diritto dei leader della Nato stabilire quando sarà il momento opportuno per farla entrare e quali condizioni di democrazia interna essa dovrà rispettare per poter entrare. Il futuro dell'Ucraina è comunque nella Nato. Allo stesso tempo, la natura del regime russo e le incertezze della futura politica americana dovrebbero spingere l’Ue ad assumere una diretta responsabilità militare. Riconoscendo la Nato come l’unico sistema di difesa del continente europeo, ma ridefinendo i compiti (insieme al Regno Unito) tra le due sponde dell’Atlantico. Il mondo sta cambiando e noi dobbiamo cambiare con esso.

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