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Ucraina, i rifugiati in Polonia: «Ferisce l’incredulità degli ex amici russi»

La guerra ha chiuso il cerchio: per Zoe, germanista, rifugiata ucraina in Polonia, i conoscenti di un tempo, che non vogliono credere all’invasione russa, sono sempre più lontani

di Gigi Donelli

Ucraina, flusso di rifugiati in Polonia anche nel giorno di Pasqua

4' di lettura

«Non credo ancora a ciò che ho visto. Ma l’ho visto, e l’ho vissuto. A Sumy, nel nordest dell’Ucraina, vicino al confine con la Russia, all’inizio di marzo hanno bombardato i nostri palazzi, le nostre case. Abbiamo trascorso giorni e notti nelle cantine, aspettando che le armi tacessero. Hanno bombardato anche le università, la mia università a Sumy. Ma anche quella antichissima di Kharkiv. Non lo credevo possibile. Pensi che io sono russa, sono russa e sono ucraina. Sono nata sovietica e in Russia e ci ho vissuto per vent’anni. A Volgograd, la città sacra della resistenza! Ho vissuto nella ex-Stalingrado fino alla fine del liceo, e poi ho studiato filologia a Kiev e mi sono specializzata a Berlino Est. Sono una germanista. Mio padre era ucraino, e anche mio marito era ucraino. Nel 1980, finiti gli studi ho iniziato a insegnare, di nuovo in Ucraina, all’Università di Sumy. Era una bella città Sumy, è quasi a metà strada tra Kiev e Kharkiv. Ci ho vissuto per 42 anni. Mi sono sposata in quella città, e lì con mio marito abbiamo cresciuto tre figli. A Sumy all’inizio di marzo l’esercito russo ha commesso un crimine orrendo, contro di noi e contro l’umanità».

Posto di frontiera

Zoe ha passato la frontiera da poche ore. L'ultimo chilometro lo ha percorso a piedi con le sue due borse. Ora attende e si riposa, ma vuole anche raccontare quello che ha vissuto. Sente di doverlo fare. I volontari polacchi coordinati sul confine dal sindaco Ustrzyki Dolne, Bartosz Romowic si danno da fare attorno a lei e alle altre donne appena arrivate. Dopo quasi due mesi di emergenza sanno come muoversi.

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Kroscienko è uno dei nove punti di frontiera tra la Polonia e l’Ucraina. È quello più meridionale, quasi in Slovacchia, e almeno di solito uno dei più tranquilli. Tra la foresta e i monti Beschidi in tempi di pace questo è un luogo perfetto per i fine settimana lontani dalle città. I Carpazi proseguono sul lato orientale e in territorio ucraino le antiche terme di Truskavets rivendicano ancora il tempo in cui ai margini dell’Impero ci passavano le acque i giovani principi. All’inizio dello scorso inverno anche i polacchi si facevano strada oltre la frontiera: la stazione sciistica di Bukovel è vicina, con tanta neve e prezzi decisamente popolari. Oggi da questo confine tra l’Unione europea e la provincia di Leopoli si arriva e basta. Arrivano i profughi della guerra e si muovono le organizzazioni umanitarie.

Zoe racconta di 50 giorni di guerra. Parla lentamente, si accerta che io abbia capito. A volte la sua voce bassa ma chiara s’infrange nelle emozioni che a ondate sembrano travolgerla. Allora respira profondamente, si riprende e continua il suo racconto. Se ne sta seduta, composta, su di una seggiolina della vecchia scuola elementare di Wodyna, un edificio rurale affacciato sui pendii coperti di boschi nell’estremo angolo sudorientale della Polonia. I bambini della zona ora frequentano una nuova struttura con palestra, mensa e servizio autobus all’americana.

La solidarietà dei polacchi

La vecchia scuola da fine febbraio è tornata utile come ricovero e primo punto di transito per chi fugge dall’Ucraina. Al posto dei banchi ci sono le brande da campo, dieci per classe. In fondo al corridoio i bagni, per femmine e maschi, puliti. Nei corridoi, appesi a degli stendini vestiti e tanti oggetti di prima necessità. Sono a disposizione, come lo sono i volontari polacchi ormai integrati da giovani di origine ucraina che fanno anche da interpreti. Prima della guerra gli ucraini in Polonia erano un milione e mezzo ufficialmente. Ora si dice siano almeno quattro milioni. Prima della guerra gli ucraini erano un grosso problema, adesso che sono più del doppio nessuno osa più dirlo, e l’intero paese è coperto da messaggi e segnali di accoglienza.

Zoe Gherichenko ha già deciso i suoi prossimi passi. Non è qui per caso: tra i nove punti di transito possibili tra Ucraina e Polonia ha scelto quello più vicino al suo prossimo obiettivo. Andrà a stare dalla nuora a Zielona Gura, nella Bassa Slesia, altri 700km a ovest ai piedi dei Carpazi. Spiega che starà due notti nella scuola di Wodyna. Non ha voluto che la nuora perdesse il lavoro e le ha chiesto di attendere il fine settimana per venire a prenderla.

L’ex professoressa universitaria non si sente affatto una profuga anche se lo è. Stringe al petto la sua bella borsa di cuoio, è ben vestita e curata. Ha il volto stanco, ma conosce la storia e padroneggia tre lingue straniere. Alterna il russo, l’ucraino e l’inglese, in cui sceglie con cura le parole che servono. Più della paura, delle notti insonni, delle bombe e della distruzione, più delle quattro tortuose settimane di viaggio in auto che l’hanno portata qui dall’est dell’Ucraina, più di tutto questo Zoe racconta di essere ferita da alcune telefonate.

L'incredulità dei conoscenti

Me lo ripete più volte: «Ho chiamato alcuni conoscenti ed ex colleghi che adesso vivono in Russia, ho chiamato anche un parente, e gli ho raccontato cosa succede, cosa abbiamo visto e vissuto. E loro mi hanno sentita, ma non mi hanno ascoltata. Mi hanno sentita, ma non mi hanno creduta». Nel raccontarlo è a sua volta incredula: nei giorni più duri della guerra racconta che una vecchia compagna di studi che adesso vive a est di Mosca l’ha persino sgridata: l’ha interrotta, ha alzato la voce, l’ha accusata di inventarsi le cose. «Il nostro esercito colpisce solo obiettivi militari, al massimo i soldati» le ha gridato nella cornetta.

Zoe ora tace. Restiamo in silenzio. L’unico rumore nella stanza diventa quello delle tastiere dei telefoni sui quali due donne più giovani, stese sulle brande, martellano messaggi di cui non hanno voglia di parlare. A modo suo la professoressa di Volgograd è tranquilla. I suoi timori sono tutti concentrati sul destino dei figli adulti lasciati in patria. La sua patria ora è l’Ucraina. La guerra ha chiuso il cerchio. Gli amici di un tempo, quelli che ancora la feriscono con la loro incredulità, sono sempre più lontani.

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