Ue, Usa e alleati devono rafforzare i rapporti con l’Africa
La concorrenza tra le potenze mondiali per l’influenza e l’accesso all’Africa dovrebbe contribuire a rafforzare la posizione negoziale degli Stati africani
di Adriana Castagnoli
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La concorrenza tra le potenze mondiali per l’influenza e l’accesso all’Africa dovrebbe contribuire a rafforzare la posizione negoziale degli Stati africani, sia nei rapporti bilaterali sia attraverso organismi collettivi, come l’Unione africana, o blocchi economici regionali. Intanto, a livello internazionale, da più parti si sollevano dubbi e si pongono interrogativi sui reali motivi di fondo del nuovo impegno dell’Unione europea e degli Stati Uniti nel Continente. Alcuni Paesi africani ricordano gli impegni naufragati del passato o interpretano l’attivismo occidentale più come manifestazione di una strategia di contenimento di Pechino che come sincero desiderio di operare con partner africani.
Dal primo decennio del secolo, l’Africa si è ri-orientata verso l’Asia sulla scia delle interconnessioni culturali ed economiche che attraversano l’Oceano Indiano dall’epoca precoloniale.
Gli scambi fra i due Continenti, nel 2002-2012, sono cresciuti quasi del 2000% grazie al superciclo delle materie prime innescato dall’imponente crescita della Cina.
Come Pechino, in Africa anche l’India e la Corea del Sud sono principalmente Paesi importatori di materie prime ed esportatori di manufatti. Ma, a differenza della Cina, tali relazioni di scambio sono considerevolmente più equilibrate. Il deficit commerciale dell’Africa con la Cina di 47 miliardi di dollari, nel 2022, ha superato di gran lunga quello di 4,5 miliardi di dollari e di 1,7 miliardi di dollari rispettivamente con India e Corea del Sud.
Questi due partner potrebbero diventare assai importanti per le economie africane se il rallentamento della crescita cinese, complice anche la stagnazione demografica, continuasse a gravare sulla domanda di materie prime.
La ricchezza di energia e di materie prime pone la regione subsahariana al centro della politica industriale e delle strategie di investimento diretto estero di Pechino. Malgrado la Cina abbia ridimensionato i prestiti allo sviluppo a motivo del carico sempre più insostenibile del debito in Africa, essa resta di gran lunga il più grande partner commerciale del Continente, presentandosi come una valida alternativa alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale nella regione.
In particolare, Pechino ha intensificato la cooperazione militare. Il suo scopo è diventato geopolitico allargandosi dall’economia a includere i domini della sicurezza e della cultura. La crescente interdipendenza fra Cina e Africa subsahariana ha allarmato i responsabili politici degli Stati Uniti e dell’Ue, soprattutto in considerazione dell’indebolimento dei legami d’interesse che i precedenti accordi commerciali e di investimento occidentali sono stati inefficaci a contrastare. Il relativo declino di influenza del Nord globale coincide con quello relativo della presenza di Washington.
Per ricostruire le relazioni con il Sud del mondo e, in particolare, con la regione subsahariana, gli Stati Uniti, l’Ue e i loro alleati mondiali devono dimostrare di saper fare meglio di Pechino. E ciò, sia attraverso la Partnership for Global Investment and Infrastructure (Pgii), già nota come Build Back Better World (B3W), lanciata dal presidente Biden e dai leader del G7, sia col Global Gateway, l’iniziativa dell’Ue che offre un pacchetto di investimenti incentrato sull’Africa per un totale di 150 miliardi di euro.
Entrambe queste iniziative propongono una visione d’intervento per infrastrutture a basso impatto ambientale. Tuttavia, è difficile che questi accordi di partnership possano sostituire la Belt and Road Initiative che ha un vantaggio di nove anni, anche perché fra i suoi numerosissimi sottoscrittori, oltre 140 Paesi, vi sono l’Italia e sette economie del G20.
Eppure, nell’Africa subsahariana solo il 30% della popolazione ha accesso all’acqua potabile sicura, il 33% ha strutture igienico-sanitarie di base e solo il 48 ha accesso all’elettricità. Tutti bisogni primari che il Nord globale potrebbe soddisfare con una concezione lungimirante del debito che grava sui Paesi più in difficoltà; e garantendo, al contempo, che il mondo sviluppato si impegni a investire nelle comunità più colpite dai cambiamenti climatici. Le crisi economiche e climatiche contemporanee aggravano gli shock nei Paesi in via di sviluppo, in gran parte a causa di un sistema finanziario globale squilibrato che accresce ulteriormente le disuguaglianze.
È importante osservare che l’export cinese di armi verso la regione subsahariana ha raggiunto il massimo storico nel 2013, in coincidenza con il lancio della Bri. A ottobre 2022, Pechino era divenuto il secondo fornitore di armi dell’Africa subsahariana dietro Mosca (rispettivamente, 22% e 24%).
In uno Stato cruciale come la Nigeria, nel 2021, la Cina ha contato per il 34,4% dell’import di armi, mentre gli Stati Uniti e la Russia hanno rappresentato rispettivamente il 2,67 e il 6,49 per cento. Nell’intera area sub-sahariana, nel 2010-2021, la Russia è stata il primo Paese fornitore di armamenti, seguita dalla Cina e, a notevole distanza, da Usa, Francia e Italia.
Intanto, come ha mostrato anche il recente Russia–Africa Economic and Humanitarian Forum di San Pietroburgo, è probabile che il presidente Putin intensifichi operazioni e interventi russi nei Paesi africani. Le sanzioni occidentali possono rendere Mosca meno potente, ma anche una Russia gravemente indebolita avrà ancora risorse e connessioni significative – tra cui un enorme arsenale nucleare, imponenti riserve energetiche e legami economici in espansione con i Paesi non occidentali – con cui seminare instabilità.
Secondo gli esperti cinesi, l’elenco dei Paesi africani che hanno espresso interesse ad aderire ai Brics (come Egitto, Etiopia, Sudan, Nigeria, Tunisia, Zimbabwe, Senegal e Algeria) è significativo di un Continente pronto ad entrare nel “nuovo ordine economico”.
Alcuni giorni prima del vertice Russia-Africa e del Forum economico e umanitario Russia-Africa, il Cremlino ha pubblicato un editoriale di Vladimir Putin che sollecita i leader del Continente a unire gli sforzi per «la pace, il progresso e un futuro di successo», riproponendo la narrazione di una Russia storicamente opposta all’oppressione coloniale e a supporto dello sviluppo dell’Africa. Mosca non intende lesinare gli sforzi per estendere la sua influenza.
Enrico Mattei, il fondatore di Eni adesso evocato per il suo approccio lungimirante al business dell’energia nei Paesi in via di sviluppo, aveva ben chiaro che l’Africa era il nuovo campo di battaglia fra Est e Ovest, e che l’Occidente avrebbe perso il confronto se non avesse agito con estrema intelligenza.
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