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Il tema della multiculturalità e apertura verso il mondo non è una opportunità ma una necessità per una realtà come Carel, base a Brugine (Padova), leader delle componenti e soluzioni tecnologicamente avanzate nei mercati del condizionamento aria e refrigerazione, un fatturato superiore al mezzo miliardo. Presente in 30 Paesi, il gruppo conta circa 2.500 dipendenti di cui 900 in Italia. «Si è partiti 20 anni fa con una esigenza di apertura commerciale verso altri Paesi in un’ottica di primordiale globalizzazione, poi lo sviluppo commerciale è diventato molto di più» spiega Carlo Vanin, a capo della direzione Risorse umane del Gruppo. Oggi sono oltre 25 le nazionalità al lavoro: «Varcare i confini nazionali richiede preparazione, non si improvvisa. Ci sono anche da gestire paura e insicurezza: quando l’azienda si apre all’esterno in termini commerciali o produttivi emerge la paura della delocalizzazione nei colleghi italiani: che ne sarà di noi?». E c’è anche la paura di chi sta fuori, se c’è una fusione o acquisizione: «Questo va considerato nell’evoluzione multiculturale: c’è una resistenza iniziale sia sul fronte italiano che estero. Occorre gestire, comunicare, essere credibili. Noi abbiamo fatto dell’inglese la lingua di gruppo, ma non è così familiare per tutti ad esempio in Cina o Est Europa: nonostante questo al personale devono passare i giusti messaggi con la giusta empatia». Nelle fasi successive integrazione e inclusione richiedono «mille iniziative per includere e integrare culture, stili di vita, valori. Non c’è nulla di meglio dell’esperienza, del vissuto: spesso favoriamo lo scambio reciproco, italiani all’estero e stranieri qui, per conoscere la realtà della casa madre e contaminarsi positivamente. Questo può aiutare a creare una identità unica che è il nostro obiettivo: non certo un unico modo di pensare e agire, ma di caratterizzarsi rispetto ad altre realtà con un tessuto comune in cui tutti possano riconoscersi con la stessa dignità». Fra le difficoltà, vanno considerati anche possibili pregiudizi: «È accaduto con una certa difficoltà di integrazione di una società acquisita nel Nord Europa, a fronte di un certo scetticismo culturale verso l’Italia. Il consiglio è di non agire mai da colonizzatori, sempre con umiltà, ascolto e autentica apertura con la volontà di generare scambi positivi».
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