Un aiuto alle persone fragili: chi è e quanto costa l’amministratore di sostegno
Dagli anziani ai ludopatici, dai disabili ai malati, l’amministrazione di sostegno è uno strumento a disposizione di chi non riesce a badare ai propri interessi ma non è in condizioni così gravi da essere interdetto o inabilitato
di Selene Pascasi
4' di lettura
L’amministrazione di sostegno è una misura di protezione a tutela di chi, per infermità o menomazione fisica o psichica non riesca, anche solo temporaneamente, a badare ai propri interessi e abbia bisogno di essere affiancato, appunto, da un amministratore di sostegno. La figura è prevista dall’articolo 404 del Codice civile e ha il compito di aiutare il beneficiario a compiere varie operazioni interferendo il meno possibile con le sue scelte.
Del resto, è un sistema pensato per i soggetti fragili e non per gli incapaci di intendere e volere, per i quali è necessario nominare un tutore.
I presupposti della nomina
Perché sia nominato un amministratore di sostegno occorrono due requisiti:
1) l’infermità o la menomazione fisica o psichica, anche passeggere;
2) e la mancanza di residue capacità legate all’esperienza maturata con lo studio o con il lavoro che possano consentire alla persona di cavarsela da sé.
Ad esempio, sarà opportuno sostenere chi sperperi soldi dissennatamente, il ludopatico, il malato oncologico o comatoso non interdetto, chi soffra di problemi motori anche transitori, il bipolare raggirabile nei periodi di scompenso, il detenuto, l’alcol o il tossico dipendente, l’affetto da Alzheimer o da un’altra forma di demenza.
Ma l’amministratore di sostegno è utile anche per limitare la capacità di donare o di predisporre testamento dei soggetti manipolabili.
Chi può fare la richiesta
Possono chiedere il sostegno, con ricorso al giudice tutelare della città dove vive, lo stesso beneficiario (anche se minore, interdetto o inabilitato), il coniuge o il convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado, il tutore, il curatore, il pubblico ministero, i responsabili dei servizi sanitari e sociali che si occupano di lui. È ammessa che l’iniziativa d’ufficio da parte del giudice.
La procedura
La misura, nonostante sia tesa ad aiutare il beneficiario senza privarlo della libertà d’agire, inevitabilmente la comprime. Serve, quindi, un procedimento accurato che ne accerti l’effettiva esigenza.
L’iter si avvia con ricorso – non necessariamente predisposto da un avvocato – che indichi i dati delle parti e i motivi della richiesta. L’atto, poi, deve essere notificato all’interessato e a tutti i soggetti ammessi a prendere l’iniziativa.
Entro 60 giorni, il giudice, prese le dovute informazioni, può bocciare la domanda o accoglierla e nominare un amministratore con decreto motivato. Nel decreto, però, deve indicare la durata e l’oggetto dell’incarico, gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto del beneficiario, quelli che il beneficiario non può compiere da solo e il tetto delle spese sostenibili. Nella procedura interviene il Pm.
L’incarico sarà revocato quando vengono accertate violazioni da parte dell’amministratore, per sopraggiunta incompatibilità, per il venir meno dei motivi alla base della nomina (si pensi a chi, superate le difficoltà, possa di nuovo curare le sue faccende) o per l’aggravarsi delle condizioni del beneficiario, tanto da rendere necessarie l’interdizione o l’inabilitazione.
A chi va l’incarico
In alcuni casi sono i familiari a mettersi a disposizione per aiutare il parente in difficoltà nel gestire i propri affari, senza entrare in conflitto con lui. Nelle altre ipotesi, occorre individuare una persona che possa essere nominata amministratore di sostegno.
Per scegliere l’amministratore di sostegno bisogna tenere conto degli interessi del beneficiario che, redigendo un atto pubblico o una scrittura privata autenticata quando è ancora in condizioni di farlo, può indicare un nome per future evenienze. Non può, però, essere designato un operatore dei servizi che si stiano già occupando della situazione.
Il compenso
L’incarico, dice l’articolo 379 del Codice civile, è gratuito ma il giudice – per entità del patrimonio o particolari difficoltà di gestione – può riconoscere all’amministratore di sostegno nominato un indennizzo calcolato in base alle mansioni svolte o autorizzarlo a collaborare con persone stipendiate. Gli spetta, comunque, un rimborso spese.
Se, invece, l’amministratore di sostegno è un legale, la sua si ritiene attività professionale di natura remunerativa tassabile.
L’indennità e i costi sono a carico del beneficiario (a meno che non sia indigente e la spesa sia coperta dallo Stato) o dei suoi eredi, che potranno evitare l’esborso rinunciando all’eredità o accettandola con beneficio d’inventario.
Poteri e doveri
Il raggio d’azione dell’amministratore di sostegno varia con il decreto di nomina perché il giudice, in base alle caratteristiche del caso, deve specificare - appunto nel decreto - per quali atti il beneficiario, che mantiene la capacità di agire e di compiere le operazioni quotidiane, si deve avvalere dell’aiuto dell’amministratore e per quali deve invece lasciargli la rappresentanza esclusiva.
Tuttavia, l’incaricato deve muoversi tenendo conto delle esigenze e delle aspirazioni del beneficiario e informarlo tempestivamente dei suoi passi per confrontarsi con lui e sollecitare l’intervento del giudice in caso di divergenze.
Discorso a parte per le scelte sulla salute del beneficiario. Dato che si tratta di diritti personalissimi, l’amministratore di sostegno non può, senza l’ok del giudice, rifiutare i trattamenti necessari a evitare il decesso della persona assistita ma può essere autorizzato a opporsi a interventi rinviabili senza rischi o prestare il consenso al ricovero o all’inserimento in una residenza sanitaria assistenziale.
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