Un anno di Brexit: tutto da rifare?
A pochi giorni dal primo anniversario resta aperto il confronto tra Regno Unito e Ue su molte questioni legate al «divorzio»
di Marcello Minenna
7' di lettura
A pochi giorni dal primo anniversario della Brexit resta aperto il confronto tra Regno Unito e UE su molte questioni legate al “divorzio” tra i due blocchi. Una di queste, tra le più rilevanti, riguarda il commercio di beni tra le due sponde della Manica, che quest'anno ha subìto un calo rispetto a quando ancora l'UK faceva ancora parte del mercato unico europeo.
A farne le spese sembra essere stato soprattutto il Regno Unito che, a differenza di altre aree economiche, ad agosto 2021 registrava un volume di export di beni verso il resto del mondo inferiore di oltre il 20% rispetto ai valori pre-pandemici. In dettaglio, i dati (cfr. Figura 1) evidenziano un doppio crollo, prima durante la primavera/estate del 2020 – in concomitanza con la prima ondata di contagi – e poi a gennaio di quest'anno, primo mese della Brexit.
Stando ai dati dell'Office for National Statistics (ONS, l'ISTAT inglese) questa scarsa performance non sarebbe tuttavia imputabile solo alla Brexit, bensì anche e soprattutto al calo delle esportazioni britanniche verso i paesi extra-UE. Queste ultime, infatti, a giugno 2021 sarebbero state ancora il 18% in meno rispetto ai livelli di fine 2019, mentre alla stessa data l'export di merci verso l'Ue sarebbe stato appena il 6% sotto i livelli pre-Covid.
Insomma, il guaio più serio per il made-in-UK sarebbero i problemi creati dal Coronavirus, come le criticità nelle catene di fornitura, incluse quelle che hanno colpito l'industria automobilistica che, nel caso del Regno Unito, destina al mercato estero oltre l'80% del proprio output. Sempre secondo l'ONS, l'import dai paesi UE alla fine del secondo trimestre 2021 sarebbe stato oltre il 20% in meno rispetto ai livelli pre-pandemici a fronte, invece, di un discreto recupero delle importazioni dai partners extra-UE.Come noto, le statistiche sull'interscambio di beni presentano delle discrepanze (trade asymmetries) legate a differenze nei metodi di rilevazione. Nel caso di specie, il quadro che emerge dai dati Eurostat sugli scambi commerciali col Regno Unito risulta praticamente capovolto rispetto alla rilevazione dell'ONS.
A soffrire di più – secondo l'ISTAT Europeo – sarebbero state infatti le importazioni UE dal Regno Unito (-28% a giugno 2021 rispetto ai valori di fine 2019) mentre il calo dell'export UE oltre Manica si sarebbe attestato all'11%.Difficile dire chi abbia ragione. In ogni caso è abbastanza assodato che, come ampiamente atteso, il 2021 ha segnato una contrazione nel traffico merci tra le due sponde della Manica. Anzi, tutto sommato, il fenomeno c'è ma non è stato così estremo come si paventava tenuto conto della sovrapposizione temporale coi vari disagi creati dal Covid e delle numerose novità regolamentari e procedurali cui gli operatori si sono dovuti abituare.L'effetto-Brexit è stato mitigato anche dal periodo di grazia (grace period) concordato tra Unione Europea e Regno Unito che, per l'intero 2021, ha esonerato gli esportatori britannici dalle pratiche burocratiche relative alla certificazione dell'origine locale delle merci.
L'EIRE in avanzo commerciale col Regno Unito
Finora le conseguenze più evidenti per il commercio UE-UK hanno interessato l'isola d'Irlanda, destinataria di un trattamento ad hoc dal Protocollo negoziato dal governo Johnson nel 2019.Una prima evidenza importante riguarda la Repubblica d'Irlanda (EIRE) che nei primi 9 mesi del 2021 ha sperimentato un miglioramento del proprio saldo commerciale con il Regno Unito. A gennaio le importazioni dall'UK sono scese del 33% rispetto al mese precedente, andando di fatto a compensare quell'eccesso di acquisti a scopo cautelare fatti da molti agenti economici negli ultimi mesi del 2020. Anche le esportazioni dell'EIRE verso il Regno Unito si sono ridotte, ma in minor misura (cfr. Figura 2). Nei mesi successivi import ed export con l'UK hanno avuto una ripresa simile, col risultato che sino a luglio 2021 la Repubblica d'Irlanda ha registrato – per la prima volta da parecchio tempo – 7 mesi consecutivi di surplus nel commercio di beni col Regno Unito.
L'ulteriore recupero delle importazioni ad agosto-settembre 2021 ha interrotto questa sequenza positiva e, anche per questo, al momento è troppo presto per capire se siamo di fronte a un nuovo assetto o se nei prossimi mesi la situazione tornerà a stabilizzarsi sui vecchi equilibri.
Giù il traffico nei porti britannici
Quest'anno ha visto anche un massiccio aumento del traffico diretto di merci tra la Repubblica d'Irlanda e l'UE a discapito della Gran Bretagna. In pratica le merci irlandesi destinate al continente ora non fanno più tappa nei porti britannici ma vanno direttamente nell'UE. L'Ufficio irlandese per lo sviluppo marittimo riporta che nei primi 9 mesi del 2021 il traffico RoRo (ossia quello di carichi dotati di ruote) tra EIRE e Unione Europea è già superiore del 52% rispetto al suo totale annuale per il 2019. Di converso, il traffico RoRo tra la Repubblica d'Irlanda e la Gran Bretagna è calato del 25% rispetto al 2019. A farne le spese sono quindi i porti britannici, specie quelli del c.d. “UK Landbridge”, ossia il percorso che collega la Repubblica d'Irlanda al resto dell’UE attraverso la rete stradale e portuale della Gran Bretagna e quindi attraverso lo stretto della Manica.L'escalation negli scambi tra le due IrlandeA fronte della diminutio del traffico diretto con la Gran Bretagna, si è registrata un'intensificazione degli scambi commerciali tra la Repubblica d'Irlanda e l'Irlanda del Nord che, pur appartenendo al Regno Unito, è rimasta nel mercato unico Europeo dato che il Protocollo del 2019 ha individuato il confine doganale nel mare d'Irlanda. Proprio grazie a questo status speciale – e a un periodo di grazia sugli adempimenti doganali e sanitari relativi all'export di alcuni prodotti UK – l'Irlanda del Nord è diventata quest'anno tappa privilegiata del commercio fra il Regno Unito e la Repubblica d'Irlanda. I volumi di merci transitate nei porti nord-irlandesi di Belfast, Larne e Warrenpoint sono cresciuti notevolmente sia nel traffico RoRo che in quello LoLo (relativo ai carichi mobilizzati con gru). La conferma arriva dai dati dell'Istituto nazionale di statistica della Repubblica d'Irlanda (Central Statistical Office): nel 2021 le esportazioni mensili verso l'Irlanda del Nord sono state in media 1,6 volte quelle di inizio 2018 e le importazioni in media sono state il doppio rispetto a gennaio 2018 (cfr. Figura 3).
Non stupisce, dunque, che i primi 9 mesi di quest'anno siano stati segnati anche da un aumento significativo del peso dell'Irlanda del Nord nel commercio di beni tra EIRE e Regno Unito. Tra gennaio e settembre l'Irlanda del Nord ha rappresentato circa il 20% dell'export della Repubblica d'Irlanda in direzione UK e il 24% dell'import (a fronte di una media rispettivamente del 16% e dell'11% nel triennio 2018-2020).
I ripensamenti di Johnson sul Protocollo irlandese
Il Regno Unito non ha gradito questo exploit del commercio tra le due Irlande. In un paper presentato al Parlamento lo scorso luglio, il governo britannico lo ha anzi presentato come una delle distorsioni commerciali causate dal Protocollo del 2019, enfatizzando soprattutto l'incremento dell'export dell'EIRE verso l'Irlanda del Nord.Il paper riporta inoltre che il Protocollo avrebbe causato una diminuzione dell'inter-scambio di merci tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord perché tutte le merci britanniche che arrivano in Irlanda del Nord sono assoggettate ai controlli e agli adempimenti sanitari e doganali previsti dalla disciplina UE, indipendentemente dal fatto che tali merci siano o meno destinate a essere esportate nella Repubblica d'Irlanda. Ciò avrebbe comportato una forte crescita nel volume dei controlli documentali effettuati dalle autorità dell'Irlanda del Nord e un notevole danno economico in termini di aumento dei prezzi, ridotta disponibilità di prodotti britannici per consumatori nord-irlandesi e minori profitti per i commercianti britannici. Alcune delle affermazioni contenute nel paper non sono pienamente riscontrabili; in più esso si riferiva al quanto emerso nei primi mesi del 2021, mentre nei mesi successivi ci sono stati segnali di normalizzazione. Tuttavia, diverse evidenze suggeriscono che almeno in parte quanto denunciato dal governo britannico corrisponda a verità. A inizio anno Amazon ha annunciato la prossima apertura a Dublino del suo primo centro di distribuzione in Irlanda proprio per by-passare il Regno Unito ed evitare ai suoi clienti irlandesi ritardi nelle consegne o aggravi di costi dovuti alla Brexit. Lo scorso luglio i principali supermercati dell'Irlanda del Nord hanno chiesto ai referenti per la Brexit in UK e nell'UE di intervenire con urgenza per evitare interruzioni nel commercio una volta terminato il periodo di grazia. Oltre agli aspetti economici, ci sono poi le tensioni politiche e sociali legate alla conflittualità tra repubblicani e lealisti nell'Irlanda del Nord e al crescente malcontento nella politica nord-irlandese, specie nelle correnti unioniste e nazionaliste che lamentano di essere state svendute da Londra a Bruxelles per portare a casa la Brexit. A maggio 2022 l'Irlanda del Nord eleggerà un nuovo Parlamento: anche per questo, negli ultimi mesi, Johnson ha alzato nuovamente i toni del confronto con l'UE minacciando di adottare misure di salvaguardia su base unilaterale (facoltizzate dall'art. 16 del Protocollo) se l'Europa non si renderà disponibile a trovare “un nuovo equilibrio” all'insegna del compromesso e della flessibilità.
Controlli risk-based
Secondo il governo UK questo nuovo equilibrio dovrebbe porre in capo agli esportatori britannici la responsabilità di dichiarare se le loro merci siano destinate all'Irlanda del Nord o se siano in transito per la Repubblica d'Irlanda. Le formalità doganali e i controlli sanitari richiesti dall'UE sarebbero previsti solo nel secondo caso e le autorità di enforcement sarebbero chiamate a effettuare i controlli e le verifiche in modo risk-based e intelligence-based.Da parte sua, lo scorso ottobre la Commissione Europea ha presentato una contro-proposta che comporterebbe una riduzione di circa l'80% dei controlli oggi richiesti per una significativa gamma di prodotti destinati ai consumatori al dettaglio e dimezzerebbe le formalità e le procedure doganali attualmente richieste per le merci considerate non a rischio per l'UE. In cambio, Bruxelles ha chiesto alcune salvaguardie tra cui l'impegno del Regno Unito a fornire accesso completo e in tempo reale ai propri sistemi informatici rilevanti.La reazione iniziale di Westminster a queste aperture è stata abbastanza tiepida, anche perché nessuna concessione è arrivata sull'altro tema caldo del Protocollo, ossia il ruolo di sovraintendenza assegnato alla Corte di Giustizia Europea e che invece Londra vorrebbe andasse ad un organo arbitrale internazionale.Su questo scenario s'innestano poi questioni di opportunità politica e di credibilità internazionale del Regno Unito. Gli USA hanno fatto sapere che non revocheranno i dazi su acciaio e alluminio britannici introdotti da Trump se Johnson non ritirerà le sue minacce all'UE. Senza contare che molte capitali Europee (a partire da Parigi) non dissimulano il disappunto per la condotta britannica, tanto che alcuni analisti paventano il pericolo di una rappresaglia esemplare da parte dell'Unione Europea qualora Londra facesse effettivamente ricorso all'articolo 16.Dati i forti legami economico-finanziari tra i due blocchi, l'esito più disruptive appare poco probabile. Di certo però i negoziatori di entrambe le parti dovranno impegnarsi al massimo per evitare di restare invischiati in un pericoloso gioco dell'oca.
Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna - Le opinioni espresse sono strettamente personali.
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