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Un anno di crisi? Il Brasile ci ha guadagnato più dell’Italia

Nomisma: il surplus commerciale agroalimentare dei brasiliani è passato da 73 a 113 miliardi, quello italiano da 4 miliardi di avanzo a 1,4 di disavanzo

di Micaela Cappellini

(Adobe Stock)

2' di lettura

Un anno di fiammata dei prezzi ha favorito gli esportatori di materie prime agricole e ha penalizzato i Paesi trasformatori. Il risultato? È che il Brasile ha ottenuto un surplus nella bilancia commerciale agroalimentare di 113 miliardi di euro contro i 73 dell’anno precedente, mentre l’Italia è passata dai 4 miliardi di euro di avanzo del 2021 a 1,4 miliardi di euro di disavanzo nel 2022. I dati arrivano da Nomisma, che li ha elaborati in collaborazione con Crif in occasione del VII Forum Agrifood Monitor .

Il Brasile è dunque il Paese che ha guadagnato di più dalle tensioni geopolitiche e dalle avversità climatiche che hanno condizionato lo scenario globale dell’ultimo anno. Il valore del suo export agroalimentare è cresciuto di oltre il 50%, più di 126 miliardi di euro, secondo posto assoluto dopo gli Usa. Lo scatto in avanti è stato soprattutto del mais (+230%), per il quale l’Italia invece ha registrato nello stesso anno un raccolto più basso del 24% rispetto alla media 2017-2019.

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Oltre che per il granoturco, il nostro Paese non è autosufficiente anche per il frumento, l’orzo, la soia, gli oli vegetali, lo zucchero e la frutta a guscio. , il fabbisogno risulta superiore alla produzione nazionale. Per quanto il 57% dell’import agricolo nazionale derivi dall’Unione europea, per alcuni prodotti primari la dipendenza da aree extra-comunitarie è ancora alta, in particolare soia, olio di girasole e grano duro. «L’attuale situazione geopolitica - Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma - porterà nei prossimi anni a rafforzare i legami e gli scambi commerciali tra blocchi di paesi amici. L’obiettivo sarà quello di ridurre il rischio di rotture nelle catene di approvvigionamento che da due anni a questa parte hanno generato aumenti nei costi di produzione delle imprese e fiammate inflattive nei prezzi al consumo di generi alimentari, con effetti a cascata sul carrello della spesa degli italiani».


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