l’arte della vittoria

Un classico travestito da calciatore

di Stefano Salis

(Action Images via Reuters)

3' di lettura

Barrilete cosmico, de que planeta viniste? Ci sono ancora, e sempre, i brividi, l’emozione, l’ammirazione per la rapidità inusitata con la quale il telecronista argentino riesce a descrivere, con una frase geniale, lo straniamento e lo stupore con il quale vede, sotto i propri occhi, la nascita un’opera d’arte: la giocata di tutti i tempi, il gol più bello, quello all’Inghilterra, Mondiale ’86, che porta dritto Maradona a vincere il torneo, nella leggenda del calcio, e a identificare in sé un popolo, l’argentino, per ripetere poi il miracolo con quello napoletano: l’incarnazione di un sogno, il riassunto di un’epoca e, allo stesso tempo, la materializzazione di un classico. Siamo troppo abituati a usare questa parola “solo” per romanzi, poemi, quadri, sinfonie. Perché non per un gol, o, meglio ancora, per un giocatore e il suo significato? Maradona è stato questo; molto più che il miglior giocatore di sempre dello sport di gran lunga più popolare del mondo (e il più bello). Ha assunto su di sé i crismi del riscatto e, insieme, della magia; un qualcosa di soprannaturale e, insieme, maledettamente e purtroppo maldestramente umano. Maradona, con tutte le sue debolezze, che sono parte integrante ma non principale della sua figura, è dentro e oltre il suo tempo: assomiglia agli eroi per ciò che ha saputo fare dentro il rettangolo di gioco, si avvicina troppo pericolosamente a noi, per quello che ha combinato fuori. Ma chiunque capisca minimamente i meccanismi dell’arte sa che non importa quanto “rispettabile” e corretto possa e debba essere l’uomo; l’importante è che, nella sua specialità, sia quanto più possibile vicino al divino e ce lo renda comprensibile. Maradona lo è stato nel e per il calcio, e poco importa, francamente, del resto. I sogni non chiedono permesso, non sopportano moralismi d’accatto, non cercano edulcoranti artificiali.

Le stimmate della povertà, dalla quale non si era mai veramente liberato, ne facevano un condottiero capace di riscattare frustrazioni altrui. E il destino lo ha voluto capopopolo e simbolo di due realtà come l’Argentina e il Napoli, cioè di qualunque Sud del mondo: così da essere “vero” e credibile, vicino e fragile, e inesorabilmente altro. Popolare nella accezione più genuina del termine, non ha mai voluto, o cercato, di “elevarsi” perché lui elevava ed emozionava tutti. Finanche la sua figura, quasi necessariamente tracagnotta – come sarà, poi, quella di Messi, l’unico che, nel calcio, lo ha avvicinato – serviva a rendere plastica una tale epifania: per una volta, era uno di noi, proprio noi, esseri comuni e normali, a incarnare un pezzo di perfezione. La favola di Maradona è stata sempre ricalcata sull’archetipo della rivincita e della rivalsa, del debole contro il forte (diciamo, in Italia, la Juventus?), del povero contro il ricco (il Sud contro il Nord), il brutto contro il bello (Platini e la sua innata eleganza). La sua storia, che è sempre stata scritta in maniera collettiva – perché solo in quella dimensione ha trovato ragione e fondamento: Maradona ha giocato e vinto per gli altri, non per sé stesso –, è emblema di riscatti. E, ancora, c’è da considerare la semplicità, l’altra chiave della sua forza, il suo sorriso aperto, le sue parole politicamente spesso ingenue, che infatti nessuno ha mai preso davvero sul serio, la sua faccia nella quale la sofferenza era immediato riscontro ai tormenti interni: tutte cartine di tornasole esplicite di una figura irripetibile e incontestabilmente leggendaria. La vera natura del suo genio calcistico – ché questo celebriamo – è stata la stessa bellezza che riconosciamo in una poesia commovente, in una musica struggente, in un film capace di ispirarci. Maradona è stato un pezzo di cultura, non solo sportiva, pienamente contemporaneo. E non possiamo non riconoscerne lo statuto di classico travestito da calciatore, calzoncini, tacchetti, maglia celeste: ha sbagliato nella vita come tutti noi, e peggio forse, ma ci ha mostrato di cosa è capace la grazia quando si posa sulla mano di un artista. Anzi, sul piede sinistro. Che ci ha fatto piangere di meraviglia, sorridere di bellezza e ritrovare e gustare la fantasia leggera e fanciullesca di un aquilone colorato, venuto da un altro pianeta.

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