Il bilancio

Un conflitto fra due concezioni della politica

di Sergio Fabbrini

(EPA)

4' di lettura

E’una bella notizia sapere che Sergio Mattarella ha accettato un secondo mandato presidenziale. È stata tuttavia una brutta settimana per la democrazia rappresentativa italiana.Di fronte ad una pandemia che ci ha messo in ginocchio, l’elezione del presidente della Repubblica avrebbe dovuto essere l’occasione per mostrare l’unità del Paese. Eppure, per il loro dilettantismo, i leader politici che hanno controllato quella elezione hanno prodotto un esito esattamente contrario.

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Quei leader avrebbero dovuto incontrarsi da tempo, individuare un candidato comune capace di stabilizzare sia il governo che la Presidenza della Repubblica, quindi votarlo senza perdere tempo. Invece, hanno improvvisato, assecondando candidature bislacche, come se si trattasse di eleggere il presidente di una polisportiva. Per fortuna, molti grandi elettori hanno rifiutato di seguirli. Una confusione che il Paese non si meritava. In quella confusione è emersa una divisione trasversale che non riusciamo ancora a risolvere. È la divisione tra il Partito della Politics e il Partito della Policy (ricorro all’inglese perché in italiano abbiamo una sola parola, “Politica”, per definire due concetti distinti).

Di fronte ad una pandemia che ci ha messo in ginocchio, l’elezione del presidente della Repubblica avrebbe dovuto essere l’occasione per mostrare l’unità del Paese. Eppure, per il loro dilettantismo, i leader politici che hanno controllato quella elezione hanno prodotto un esito esattamente contrario.

Mi spiego. Cominciamo dal Partito della Policy, precisando che, per policy, intendo l’insieme di azioni necessarie per affrontare un problema (e possibilmente per risolverlo). Questo Partito (in minoranza in tutti i partiti) ha guardato all’elezione del presidente della Repubblica dal punto di vista della governabilità del Paese e delle sue conseguenze sui nostri impegni europei e internazionali. Per i sostenitori di questo Partito, il candidato alla Presidenza della Repubblica avrebbe dovuto soddisfare precisi requisiti, sia di competenza che di reputazione. In particolare, nel contesto della riorganizzazione strutturale indotta dalla pandemia, il presidente della Repubblica avrebbe dovuto garantire la stabilità e la coerenza dell’azione governativa, relativamente all’implementazione del complesso Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il Pnrr è complesso perché consiste in 213 pietre miliari o riforme (milestones) da realizzare e 314 obiettivi (targets) da raggiungere (nel periodo 2021-2026). Le riforme da attuare e gli obiettivi da raggiungere sono scadenzati per semestre (45, entro la fine di giugno del 2022; 55, entro la fine di dicembre 2022; e così via) e i fondi europei verranno versati semestralmente a condizione che gli impegni saranno semestralmente soddisfatti.

Finora abbiamo soddisfatto i primi 51 impegni, ne rimangono da soddisfare altri 476. Inoltre, abbiamo chiesto (e ottenuto) di potere beneficiare di tutti fondi (prestiti e sovvenzioni) a noi destinati (191.482.324.148,00 euro), mentre altri Paesi hanno invece chiesto di beneficiare solamente delle sovvenzioni. Per poter beneficiare dei fondi europei occorre garantire continuità e coerenza all’azione dei governi di due legislature (l’attuale che scade nel 2023 e la prossima che scade nel 2028). Naturalmente, siamo liberi di rifiutare i fondi europei, ma poi dovremmo trovarne di alternativi per sostenere la nostra ripresa. Di qui la necessità di un presidente della Repubblica che funzionasse da guardrail per le future maggioranze governative. Ecco perché il Partito della Policy aveva sostenuto Mario Draghi.

Vediamo ora il Partito della Politics, precisando che, per politics, intendo l’attività finalizzata a stabilire i rapporti di forza tra i partiti politici e i loro leader, a promuovere i loro interessi organizzativi, ad avanzare proposte che parlino ai loro elettori di riferimento. Questo Partito (in maggioranza in tutti i partiti) ha guardato all’elezione del presidente della Repubblica dal punto di vista degli equilibri interni alla rappresentanza politica, disinteressandosi delle implicazioni di quell’elezione sul governo (e ancor di più sul nostro ruolo europeo). Per i sostenitori di questo Partito, non c’è discontinuità tra l’elezione odierna del presidente della Repubblica e quelle del passato (della prima Repubblica in particolare). Il contesto storico (debito pubblico enorme, pandemia che non cede, piano di ripresa e resilienza da implementare) non ha rilevanza. Ciò che conta, per questo Partito, è l’appartenenza del candidato all’una o all’altra area politica.

È il Partito della cultura Palazzo-centrica. Come tutti i mondi chiusi, vede solamente chi vive al suo interno (una logica che, adottata in diverse sfere della società italiana, ha portato al dominio dei mediocri), temendo chi proviene dall’esterno. È nostalgico di quando i presidenti della Repubblica si eleggevano sulla base di considerazioni interne ai partiti, anche se oggi non ci sono più i partiti definibili come tali. Il Partito della Politics è rumoroso anche perché include buona parte del sistema dei media, con i suoi giornalisti, commentatori, esperti fai-da-te che sono politici con “un altro abito”. Ecco perché il Partito della Politics non ha voluto sostenere Mario Draghi.

Insomma, si potrebbe argomentare, parafrasando William Shakespeare, che nella “follia” di questi giorni c’era una logica, anche se non “un metodo”. Per fortuna che Sergio Mattarella, andando contro le proprie stesse volontà, ha accettato di fare un secondo mandato, così preservando l’equilibrio istituzionale e governativo che ci ha consentito di rialzarci nell’ultimo anno. Grazie Presidente. Ma se la Politics non si concilierà con la Policy, sarà difficile raggiungere quella stabilità riformatrice di cui il Paese ha bisogno.

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