Un governo forte sa conciliare le urgenze con la sostenibilità
Governare è difficile, e per chi non è al governo è facile parlare e giudicare. Ma è il gioco delle parti.
di Giovanni Tria
4' di lettura
Governare è difficile, e per chi non è al governo è facile parlare e giudicare. Ma è il gioco delle parti. È con questa premessa che provo a richiamare alcune verità, almeno ritenute tali da chi scrive e senza pretese di assolutezza, che penso sia bene non dimenticare nelle difficoltà del momento. La prima è che è sempre bene procedere con la dovuta calma e ponderazione nella stesura dei provvedimenti, pur nell’urgenza dei fatti che incalzano. Leggi mal concepite e mal scritte, pur con le migliori intenzioni, per fretta e disattenzioni tecniche, e a volte riscritte o aggiustate negli affollati pre-Consigli dei Ministri a Palazzo Chigi per accogliere compromessi politici, sono poi un fardello di cui è difficile liberarsi. Gli esempi sono innumerevoli, dal reddito di cittadinanza al bonus del 110%, alle riforme pensionistiche che si accavallano con attenzione oscillante tra la dovuta tecnicalità e la ricerca di titoli sui media.
Una seconda verità è che la sostenibilità del sistema pensionistico dovrà sempre tener conto dell’allungamento delle aspettative di vita. Non conta solo il numero di anni in cui si versano contributi, ma anche quelli in cui si percepirà la pensione. Ogni altro approccio credo che sia illusorio. Poi si studino i regimi transitori e si difenda la libertà di andare in pensione quando uno vuole, purché con i conseguenti costi individuali delle libere scelte. Sarebbe utile che le decisioni siano sempre accompagnate dalle ipotesi di fondo su cui si basano, che le giustificano e le rendono sostenibili nel tempo.
Anche per ciò che riguarda la politica fiscale, al di là di provvedimenti transitori connessi all’uscita dalla crisi pandemica, la scelta, che è fortemente politica, di procedere verso una riduzione sia della pressione fiscale sia della sua progressività si dovrebbe basare sul riconoscimento che essa non è sostenibile se finanziata a debito, ma è fruttuosa se accompagnata da una riduzione corrispondente della spesa pubblica corrente. Affermazione banale, ma sempre utile poiché siamo in una situazione in cui molti provvedimenti onerosi a carico del bilancio pubblico sono stati adottati e molti più dovranno ancor essere adottati per mitigare in modo selettivo l’impatto dell’inflazione sull’economia. E ciò rende necessaria un’azione compensativa molto severa su altre voci di spesa (pensioni, salari, acquisti della Pa) che subiranno anch’esse l’effetto espansivo dell’inflazione. Non si tratta solo di equilibrio di bilancio ma del fatto che, mentre si mitiga l’impatto distributivo dell’inflazione, non si può alimentare il gap tra domanda e offerta da cui deriva l’inflazione.
Altra verità è che provvedimenti di alleggerimento fiscale per categorie di reddito e tetti di reddito possono essere accettati se si indica un percorso chiaro di riforma complessiva del sistema, anche se da adottare nella dovuta gradualità per motivi di bilancio e di maturazione tecnica. Ma deve rimanere la consapevolezza che, altrimenti, il sistema fiscale diventa sempre più un “non-sistema”, un coacervo di situazioni che possono rendere felici gli studi dei commercialisti ma con effetti contraddittori rispetto alle intenzioni. Sappiamo, ad esempio, che ogni vantaggio fiscale con tetto di reddito, o di fatturazione, implica un incentivo a rimanere al di sotto del tetto, oppure a simulare di essere al di sotto del tetto stesso. Si è molto discusso di questo effetto ai tempi in cui si contestava l’art.18 che segmentava il mercato del lavoro a favore dei dipendenti delle piccole imprese, creando un incentivo a restare tali. Allora era la sinistra che non riconosceva il problema.
Se scorriamo i titoli dei giornali negli anni, sono ricorrenti gli appelli delle varie categorie, attraverso i loro rappresentanti, a “fare presto”. Appelli che si riferiscono in genere a provvedimenti di soccorso a carico dello Stato. Tutti legittimi, anche se a volte con legittima eccessiva drammatizzazione comunicativa. Ma “fare presto” significa decidere e attuare con una chiara strategia, che deve rispettare tempi e percorsi.
Ogni provvedimento parziale adottato con urgenza crea di per sé effetti secondari, e a volte danni collaterali. Questi ultimi possono essere ridotti o neutralizzati se il provvedimento parziale su un problema specifico viene contestualizzato in un percorso complessivo. I governi non si possono sottrarre a intervenire sul particolare e sull’immediato, ma per produrre un beneficio devono indicare la strada futura e la sua percorribilità. Perché le famiglie e imprese, anche quelle appartenenti alle categorie interessate al provvedimento specifico, prendono poi le proprie decisioni in base alle prospettive e alle aspettative su ciò che accadrà dopo. E sono queste decisioni che muovono sia l’economia complessiva sia il futuro delle stesse categorie che si vogliono nell’immediato beneficiare. Un governo forte è il più attrezzato per conciliare i provvedimenti urgenti con strategie sostenibili, che significa non solo provvedere ai bisogni immediati dei cittadini, ma anche indicare la strada da percorrere, dando certezze e fiducia. L’importante è che il governo forte sia consapevole di esserlo, e quindi non sia preso dall’ansia comune a tutti i nuovi governi di mostrare subito le proprie identità politiche. Un governo che si dichiara conservatore può mostrare la sua discontinuità proprio evitando errori che da tempo sono diventati la regola. Il tratto caratteristico dei governi conservatori era il seguire la strada della riduzione di tasse e spesa, mentre quella dei progressisti era quella di aumentare spesa e tasse. Anche se non è sempre stato così.
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