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Un imprenditore che moltiplichi fiducia e non solo capitale

Il cristianesimo è radice di molte confessioni, ognuna di esse ha maturato un proprio rapporto con l’impresa e con il denaro

di Gian Luca Galletti

(Platoo Studio - stock.adobe.com)

3' di lettura

Il cristianesimo è radice di molte confessioni, ognuna di esse ha maturato un proprio rapporto con l’impresa e con il denaro. A questo riguardo, il dibattito che ha preso il via su queste pagine a seguito dell’omelia del Card. Delpini, arcivescovo di Milano, per la celebrazione dei funerali di Silvio Berlusconi, solleva domande che ci interpellano. Qual è il quid proprium dell’imprenditoria di matrice cattolica? Come si caratterizza l’azione dell’imprenditore che pratica la dottrina sociale della Chiesa? Tra le innovazioni che il cristianesimo ha portato a livello antropologico vi è il concetto soggettività: l’anima di ognuno sta davanti all’assoluto, ognuno è quindi protagonista e responsabile davanti alla società. Ed è dalla coscienza dell’individualità che si costruisce il ceto borghese come forza di rottura. Scrivevano Marx ed Engels: «La borghesia non può esistere se non a patto di rivoluzionare incessantemente tutti i rapporti sociali». La borghesia innova perché mette al centro l’individuo e le sue capacità, non la casata e le sue ascendenze, come invece l’aristocrazia. L’individuo però non è tutto. Da subito, infatti, il mondo borghese si anima di comunità di pari che definiscono regole e creano legami. Sono le corporazioni, che nel fiorire delle città basso medievali si affermano come realtà capaci di imprimere direzione allo sviluppo. L’altro filone da seguire per tratteggiare il rapporto dei cattolici con gli affari si radica sempre nell’epoca di mezzo e ha per centro i monasteri. Anche qui, individuo e comunità cercano un equilibrio. Il monachesimo cristiano nasce in Oriente come l’iniziativa dell’asceta solitario (mónos, solo), in cerca di Dio.

A dispetto dell’etimo, in Occidente si comprende che il modo migliore per fare il monaco è in compagnia. Si costituiscono così le comunità monacali, che si danno regole, la più conosciuta è quella benedettina, che unisce tensione spirituale e produttività, nella celebre formula Ora et labora. Anche qui troviamo al centro l’iniziativa del singolo, il monaco, mediata da una comunità che chiama a farsi carico di responsabilità e aspettative.

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Qui sono le radici del “nostro” capitalismo, che vero capitalismo non è. All’origine della parola capitalismo c’è un malinteso, un’illusione. La parola capitale viene dal latino caput, capitis e indica il capo di bestiame. Gli animali si riproducono, la mandria diventa più numerosa e il capitale cresce. Questa semplificazione è la radice dell’economia speculativa: credere che il capitale possa davvero riprodursi da solo. I processi biologici spingono gli animali a riprodursi, ma senza il lavoro dell’allevatore, la mandria si disperde. Illusorio quindi credere che il motore della prosperità sia il capitale, piuttosto il lavoro, come azione di una comunità d’impresa. I cattolici si riconoscono in questo paradigma, diverso da quelli maturati da altre contesti cristiani.

Da una parte, il capitalismo di area tedesca, di cui Weber ci mostra la connessione profonda con l’etica protestante, mette al centro il capitale, la cui accumulazione è segno della benevolenza divina e della virtù del risparmio.

Dall’altra, il capitalismo di stampo anglosassone che promana dall’homo homini lupus di Hobbes e dall’utilitarismo di Bentham, all’insegna del sospetto verso l’altro, percepito come limite e pericolo.

Su queste basi, quando l’incontro di scienza applicata e capitale accumulato mette in moto la Rivoluzione Industriale, le forme sociali si ridefiniscono all’insegna del conflitto capitale-lavoro. Leone XIII, intuendo rischi che il Novecento avrebbe dimostrato reali, cerca di inserirsi con la Rerum Novarum per riorientare la società verso una nuova convergenza.

Ancor oggi, è questa la sfida per l’imprenditoria cattolica. Tra il capitalismo anglosassone, neoliberista e individualista, e quello renano, più equilibrato e corporativo, c’è un terzo non-capitalismo, che promana dalla cultura cattolica e che richiede all’imprenditore di essere un moltiplicatore di fiducia, non solo di capitali. Luca Bressan scrive che scelta religiosa e iniziativa imprenditoriale hanno «tutto da guadagnare dal confronto reciproco». Oggi questo confronto può ampliarsi: caduti gli steccati delle appartenenze, il patrimonio della dottrina sociale può farsi eredità condivisa.

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