Un indice della fiducia che aiuti a capire il futuro degli italiani
Prevedere il futuro è diventato una sorta di mission impossible. L’esempio plastico di tale condizione sono le previsioni del Pil che devono essere revisionate ormai di mese in mese sulla base di eventi difficilmente prevedibili
di Daniele Marini
4' di lettura
Prevedere il futuro è diventato una sorta di mission impossible. L’esempio plastico di tale condizione sono le previsioni del Pil che devono essere revisionate ormai di mese in mese sulla base di eventi difficilmente prevedibili. Esattamente come accadeva al signor Palomar, nell’omonimo famoso romanzo di Calvino, che pensava di essere riuscito a «vedere tutto quello che poteva vedere dal suo punto di osservazione, ma poi salta fuori sempre qualcosa di cui non aveva tenuto conto». È la definizione letteraria della complessità dei fenomeni sociali ed economici, la loro attuale non linearità e instabilità, tratto invece caratteristico dell’epoca industriale e fordista, che rende gli accadimenti meno prefigurabili.
Il che tributa all’azione della programmazione la caratteristica di un’arte flessibile e creativa, sempre meno determinata dalla stretta razionalità.
Questo è il frutto del fatto del vivere in un “condominio globale” e, esattamente come in uno stabile dove vivono diverse famiglie, non vi è più alcuna azione che non abbia conseguenze – in varia misura – sui vicini che coabitano. L’abbiamo ben sperimentato in questi primi 20 anni del nuovo secolo, dove si sono susseguiti una serie di situazioni che hanno progressivamente investito l’intero pianeta. Dall’attacco alle Torri Gemelle (2001), passando per la crisi finanziaria generata dal fallimento della Lehman Brothers (2008) e la crisi dei debiti sovrani (2012), fino alla pandemia (2020) e ora la guerra alle porte dell’Europa (2022). E, come si può osservare, accadimenti che maturano in tempi sempre più ravvicinati e raccontano di come la nostra “nuova normalità” (per dirla col titolo del libro di Cipolletta) sia segnata da continui mutamenti.
Probabilmente usciti (facendo gli scongiuri) dalle fasi più acute della pandemia, con il Pnrr e le copiose risorse provenienti dall’Unione Europea disponibili per rilanciare un’Italia che proveniva da un lungo periodo di crescita lenta e apportare le riforme strutturali necessarie per la sua competitività, siamo piombati all’interno di un’altra crisi umanitaria, bellica ed energetica. Tutto ciò rende le prospettive future imprevedibili, schiacciando tutto su un “presente continuo”, in incessante evoluzione.
Di fronte a uno scenario così incerto il senso di spaesamento è diffuso. Un Paese che, dopo lo slancio dello scorso anno, torna a faticare nel proseguire quell’andamento, non solo sulla base dei dati strutturali, ma anche nell’immaginario collettivo, nel sentimento di fiducia.
La condizione economica delle famiglie nell’epoca (post)Covid e nella fase bellica è contraddistinta da una specie di “ritorno al passato”, come se le lancette dell’orologio fossero tornate indietro nel tempo, e da fenomeni di polarizzazione (come testimonia la ricerca di Community Research&Analysis). La serie storica, dal 2014 a oggi, mostra come il sentiment degli italiani sulle prospettive della propria situazione finanziaria – se escludiamo l’anno orribile del 2020 – veda tornare le opinioni ai livelli pre-pandemici.
La quota di chi prevede resterà invariata rimane stabile (46,1%, 47,5% nel 2019), aumentano leggermente quanti ritengono di peggiorare (33,2%, 30,6% nel 2019), chi invece attende di poter migliorare scende dal 19,6% del 2019 al 16,1% attuale. Il saldo delle opinioni porta un segno marcatamente negativo: - 17,1, leggermente inferiore a quello del 2020, ma decisamente superiore a quello del 2019. Dunque, da un lato, gli esiti confermano l’idea di un Paese ancora bloccato nelle prospettive, dove meno persone hanno la percezione di una possibile crescita e temono di vedere erose le proprie risorse. Dall’altro lato, si accentua una divisione e polarizzazione sempre più accentuata delle condizioni fra quanti attendono un miglioramento e, per contro, quelli che immaginano un peggioramento.
Tale orientamento si enfatizza guardando all’economia regionale e nazionale. Anche in questo caso, ritroviamo accentuate le medesime dinamiche. La maggioranza relativa prefigura un aumento delle difficoltà per il proprio territorio (45,2%, 43,5% nel 2019), in particolare per il sistema paese (48,9%, dal 47,7%). Per converso, l’ipotesi di sviluppo per il proprio territorio (21,9%, 20,9% nel 2019) e l’Italia (29,5%, 30,2% nel 2019) è assai simile a quanto rilevato negli anni precedenti. In questo caso i saldi si presentano più negativi (rispettivamente -23,3 per l'economia regionale e -19,4 per l'Italia), rispetto al livello familiare. Per un verso, questi esiti raccontano di come la popolazione preveda un miglioramento delle condizioni in misura maggiore per il proprio territorio e l’Italia, rispetto alla propria famiglia. Per altro verso, in virtù dei saldi più negativi, evidenzia come si accentui il senso di polarizzazione delle condizioni.
Diverso è il sentiment verso l’Europa. In questo caso, la quota di quanti intravedono una crescita degli altri paesi continentali (37,9%, era il 28,6% nel 2019) è maggiore di chi prefigura un calo (32,4%, 34,5% nel 2019), portando il saldo in campo positivo: +5,5. È diffusa la convinzione che i Paesi partner europei siano avvantaggiati rispetto all’Italia. La somma delle indicazioni fin qui ottenute consente di creare un “Indice di fiducia nel futuro” che, dopo una crescita progressiva negli anni, nel 2022 conosce una battuta d’arresto, attestando il saldo con un segno negativo a -13,2, ma rappresentando il secondo dato migliore dal 2014. Il senso di incertezza verso il futuro (30%) aumenta anche rispetto all’anno della pandemia (24,8%), ma fa spazio a una diminuzione dei pessimisti (41,6%) e, all’opposto, a un aumento degli ottimisti (28,4%). Ritroviamo qui il fenomeno della polarizzazione della società, divisa fra chi, una minoranza, pur nelle difficoltà generate dal virus e dalla guerra, avesse ancora un’aspettativa (o una speranza) di fiducia sul futuro (soprattutto maschi, adulti e anziani, laureati, imprenditori, residenti nelle aree di piccola impresa del Centro-Nord-Est), da un lato. E, dall’altro, una platea cospicua fosse segnata dallo scetticismo (in particolare donne, inattivi e lavoratori manuali, residenti nel Mezzogiorno).
L’incertezza degli scenari determinati dalla situazione pandemica e dallo scontro bellico, i contrasti sempre più palesi in seno al governo irrigidiscono ancor di più un paese bloccato ed erodono ulteriormente la fiducia. Lo sviluppo dell’Italia passa certamente per le riforme strutturali necessarie a dare un assetto all’altezza della competitività globale, per l’attuazione degli investimenti previsti nel Pnrr, nelle imprese, nei lavoratori e nella formazione del capitale umano. Ciò non di meno, la capacità di prefigurare una visione del futuro costituisce il vero booster per combattere il virus della sfiducia.
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