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Un legame franco tra cristianesimo e imprenditoria

«Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Luca 16,8

di Luca Bressan

(borevina - stock.adobe.com)

3' di lettura

«Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Luca 16,8). «Sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse» (Matteo 25,26). Bastano queste poche parole, prese direttamente dal Vangelo di Gesù Cristo, per intuire quanto sin dall’origine tra cristianesimo e affari si sia costruito un rapporto spregiudicato e controverso. «Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari ...». Pochi giorni fa, sulle pagine di questo stesso quotidiano, il prof. Luigino Bruni ha commentato le parole dell’Arcivescovo di Milano, pronunciate in occasione delle esequie di Silvio Berlusconi, come un esempio del pessimismo e del sospetto con cui il cattolicesimo guarda ancora oggi al mondo dell’economia e dell’impresa.

A mio avviso è più attinente all’intenzione dell’autore, e allo stesso tempo densa di futuro, una lettura che ne evidenzia il carattere di spregiudicatezza. Quella di monsignor Delpini era una osservazione spregiudicata, spregiudicata e acuta, come quella riportata dall’evangelista Luca: c’è una sorta di sorpresa ammirazione nella concentrazione e nella velocità con cui un uomo di affari riesce a prendere decisioni capaci di costruire un futuro buono per sé e per altri. L’uomo religioso al suo confronto appare come quel cammello che, appesantito dai dettami irrigiditi della sua identità, non riesce a muoversi agile e scaltro come un ago dentro una storia che in questi decenni sta vivendo un vero e proprio cambiamento d’epoca.

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Abbiamo bisogno di questo sguardo spregiudicato, di questo legame franco e diretto, senza sconti, tra cristianesimo e mondo dell’impresa. E Milano si presta ad essere un laboratorio interessante, come mostrano i tavoli di confronto aperti (dai Dialoghi di Vita Buona ai diversi dialoghi per una finanza sostenibile, ai tanti incontri con le varie associazioni di imprenditori e del mondo della cooperazione, alla Call for ideas lanciata dalla Diocesi per una presenza religiosa in Mind, oltre che alle diverse esperienze ispirate alla Economy of Francesco).

Abbiamo tutti da guadagnare. I progressi della ricerca nel campo digitale come in tutto il settore tecnoscientifico stanno generando una vera e propria rivoluzione antropologica che modifica gli individui e le società nei loro tratti fondamentali. Per la prima volta ci si prospetta una vita in cui il lavoro (inteso nella sua accezione classica) non è più il perno attorno al quale organizzare le altre dimensioni del vivere; il lavoro non è più la palestra sociale che struttura i rapporti tra i vari corpi e tra gli individui e lo Stato; la sempre maggiore automazione ha radicalmente mutato la distribuzione del guadagno, generando nuove ricchezze e nuove povertà, e accendendo nuove tensioni globali e locali.

L’innovazione è alla ricerca di criteri che la aiutino a comprendere le prospettive di uno sviluppo che tocca tutti gli equilibri della vita (dall’ambiente al senso stesso della vita, non soltanto umana). E, in modo simmetrico, dimensioni del lavoro umano - come il lavoro di cura, o le professioni legate ai mondi della solidarietà e della cooperazione -, proprio perché appaltate per secoli al mondo religioso, faticano oggi a trovare visibilità e intuizioni per dare loro il futuro di cui tutti sentiamo la necessità. Il cattolicesimo, il cristianesimo sentono il bisogno di un confronto con i mondi dell’impresa che non si limiti soltanto alle pur fondamentali questioni etiche, ma si addentri nei meandri più profondi della cultura, della visione del mondo, del senso religioso. «A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma ha chi non ha sarà tolto anche quello che ha». È la frase non di un noto economista anglosassone ma del fondatore del cristianesimo (Matteo 25,29). La fede cristiana e i mondi della impresa hanno strutture di pensiero molto affini; strutturano atti di fede che, seppur molto diversi tra loro, in fasi di trasformazione accelerata della storia hanno tutto da guadagnare da un ascolto e da un confronto reciproco.

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