Un matematico tartaruga per rilanciare il Web3 cinese e l’hi tech
Yang Wang. Dalla Cina è andato a perfezionarsi in Usa, fino a ottenere la cattedra ad Harvard Ora, da Hong Kong, sollecita i giovani all’innovazione e pensa a uno spin off universitario
di Rita Fatiguso
6' di lettura
Haigui, tartaruga marina. Così i cinesi chiamano i talenti emigrati all’estero per studiare e poi rientrati a casa, da dove erano partiti, per mettere al servizio del Paese natìo le conoscenze acquisite.
In coda per il breakfast al ristorante Imperial Palace del Venetian Macao abbiamo incontrato un esemplare di questa specie di testuggine che, prima o poi, torna nella spiaggia in cui ha deposto le uova.
La nostra tartaruga marina si chiama Yang Wang, è un matematico puro originario della provincia dell’Anhui, emigrato negli Stati Uniti, dove ha conseguito un PhD e quindi una cattedra di prestigio ad Harvard. Parlerà a una sessione di Beyond Expo dedicata al Web3 nell’era dell’Artificial Intelligence.
Tema estremamente complesso che lo porterà a mettere a fuoco la posizione della Cina sulla mappa dell’innovazione tecnologica globale perché anche sulla realtà virtuale Oriente e Occidente hanno posizioni discordanti.
«Ho avuto una vita piuttosto prevedibile. Tutto scorreva tranquillo negli States». Finché, ci spiegherà Wang, dieci anni fa non decide di tornare con la sua famiglia non nella Cina continentale, bensì a Hong Kong, l’ex colonia britannica, dove accetta di diventare Vice president del Center for institutional advancement e Chair professor of mathematics della prestigiosa Hong Kong University of Science and Technology. In sigla, HKUST. Location da sogno, a Clear Water Bay, un’area circondata da una spiaggia di fine sabbia dorata.
Qui il professor Yang esercita quotidianamente l’arte della maieutica innescando tra i suoi allievi start up a catena, di quelle che in mano alla Cina possono stravolgere il mondo intero. Talenti preziosissimi. Votata com’è all’autarchia da economia pianificata, Pechino ne ha bisogno come il pane, di “tartarughe” come lui. Wang si fa intervistare da allievi giovanissimi, senza rete, senza timori, su youtube. Per un accademico del suo rango rimasto in Cina tutto ciò sarebbe impensabile.
Lui cerca di districarsi tra voglia di creare nuovi percorsi e i vincoli dell’ideologia, com’è noto nel 2022 alla festa dei 25 anni dell’handover di Hong Kong dalla Gran Bretagna alla Cina il segretario generale Xi Jinping ha professato in tre passaggi diversi «l’augurio che i migliori talenti si dedichino all’innovazione per il futuro del Paese e del benessere comune e condiviso».
Aperto e gioviale, con un buonumore che sembra ereditato dagli anni americani, tra un set di dim sum e una prima colazione occidentale Yang opta decisamente per la seconda. Intorno ha una corte adorante, altri professori, giovani imprenditori, curiosi ma il suo modo di fare è estremamente umile e diretto. Semplice. Quale è stata la molla che lo ha spinto a tornare indietro?
«Non è il mestiere giusto, il mio, per arricchirsi», commenta alla richiesta se la motivazione al rientro è stata quella di guadagnare di più. «Se avessi voluto, avrei fatto tutt’altro».
Gli chiediamo allora se ha fatto parte del famoso programma attivato dal Governo cinese dei Mille talenti (TTP Thousand Talent Plan, Qiān rén jìhuà ) il più importante tra gli oltre 200 piani di reclutamento di talenti in Cina che durante la presidenza di Donald Trump è finito sotto la lente dell’FBI, bollato come «China threat», terreno di coltura di spie e furti di know how. Le forze dell’ordine e le agenzie di controspionaggio negli Stati Uniti, in Australia, in Canada hanno sollevato preoccupazioni sul programma come strumento architettato per violare diritti di proprietà intellettuale. In altri termini, per spiare segreti industriali e militari.
Nato dalla “Strategia del superpotere dei talenti” del 17° Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC) nel 2007, in dieci anni ha attirato più di 7mila persone. Oltre 1.400 partecipanti al Piano dei Mille Talenti sono specializzati nei vari settori delle scienze. Circa 300 studiosi hanno scelto l’Australia, stando a una ricerca dell’Australian Strategic Policy Institute. E c’è anche un ramo “giovanile” del Piano che si concentra sul reclutamento di studiosi STEM all’inizio della carriera, dalle tecnologie alla matematica, dall’hi tech all’ingegneria.
Il professor Wang sembra planare da un altro pianeta. «No. Non mi è mai piaciuto essere tirato per la giacca da una parte o dall’altra. Sì, sono stato contattato per un reclutamento. Ma ho preferito dire di no. Qui a Hong Kong, del resto, mi sento libero. Facciamo ricerca, ma con l’ottica di avvicinare le imprese alle idee».
I vecchi tentativi della Cina di calamitare talenti scientifici stranieri attraverso una rete decentralizzata di circa 600 “stazioni di reclutamento di talenti” nel mondo erano stati in gran parte inefficaci nel convincere i migliori ricercatori a lasciare definitivamente i Paesi in cui si erano radicati. Le scelte spontanee come quelle di Yang Wang, in effetti, sono state più naturali.
Un compito preciso gli è stato affidato dall’Università, quello di creare uno spin off dell’HKUST nell’ateneo di Canton, capitale del GuangDong.
Il perché è intuibile: la Great Bay Area che si sta creando tra Hong Kong, Macao e nove città della provincia del GuangDong è un sistema di vasi comunicanti che permette il passaggio di nozioni e conoscenza.
Un lavoro perfetto per una tartaruga come lui. Per il professore è questo il vero ritorno a casa. Anche se mantiene il punto critico perché, a suo parere, la Great Bay Area funzionerà, ma non nel breve periodo. Dice Yang: «Sono un matematico e posso dire con certezza che due più due non fa quattro. A volte fa tre, uno o addirittura meno uno. Ci vorrà ancora del tempo. Intanto Canton è la spiaggia dove, come un vero haigui, sono tornato a deporre le mie uova».
Poi il professore sale sul podio e comincia a parlare, per la verità è piuttosto infastidito dallo schermo che traduce i suoi concetti dal cinese e a tradurre in inglese è proprio l’intelligenza artificiale. «Il programma è perfetto al 98%, ma poi è quel 2% che conta perché rallenta e storpia i sottotitoli. Ma anche questo, un giorno, cambierà», obietta.
Grazie a lui le cose stanno già cambiando, nel settembre del 2022 l’università ha lanciato il piano per istituire il primo campus fisico-digitale al mondo gemellando nel metaverso Hong Kong e Canton che, infine, si sono unite anche nella metasfera. A guidare il progetto, manco a dirlo, è Yang. «MetaHKUST è stato possibile perché Hong Kong ha tutti gli elementi necessari per lo sviluppo futuro del Web 3.0 come rapida convergenza dei nostri mondi fisici e digitali. Credo che sia la prima università al mondo a costruire un gemello digitale per i nostri due campus. Siamo pronti a prendere l’iniziativa per creare un ecosistema sostenibile in grado di integrare meglio la ricerca e l’apprendimento. L’interazione online-offline non solo facilita una vera integrazione dei due campus, ma aiuta anche a realizzare il potenziale del Metaverso nell’istruzione».
Perché dopo aver creato un ecosistema, le due Università possono generare contenuti come i propri avatar, NFT, token o opere d’arte virtuali per il mondo virtuale, alcuni dei quali possono anche essere visualizzati o utilizzati nei campus fisici con tecnologia di realtà aumentata. «Abbiamo investito un sacco di soldi perché non vogliamo che tutto ciò sia a prezzi di saldo», dice Wang che ormai vive nel e per il Web3. Un corso di quattro settimane è stato lanciato nel Cyberport di Hong Kong, la Web3 Academy, che deve creare i giovani talenti nostrani del Web3. La Web3 Public Class è sostenuta da Blockchain Academy Group, Alibaba Cloud, Cyberport e, ovviamente, l’HKUST Crypto-Fintech Lab. Ormai i talenti asiatici non hanno più bisogno di emigrare, a casa hanno tutto ciò di cui hanno bisogno.
In tutta questa foga di sondare il futuro il professor Wang ama parlare anche dei fallimenti della sua vita passata, di ciò che ha imparato, ad esempio quando al test di ingresso a scuola scoprì di non riuscire a distinguere i colori e per uno come lui l’unica era studiare la matematica. «Piansi per un giorno intero. Io volevo studiare fisica. Peggio ancora fu quando al secondo semestre all’università presi un 38, un pessimo voto visto che il massimo era 60. Sì, 38, quel 38 mi brucia ancora». Spiega che ebbe il coraggio di parlarne con i compagni e si sentì sollevato. Poi si buttò a capofitto nello studio e si appassionò alla matematica. «Perché si arriva al top solo se si ha passione, ma la passione scatta e si alimenta solo con l’impegno».
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