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Che mondo sarebbe se la globalizzazione andasse in frantumi? La domanda posta da Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia e Finanza, professore di economia all’Università Tor Vergata ha aperto il dibattito sul ruolo della Cina nel futuro prossimo, in cui molti presupposti di un pianeta interconnesso sono a rischio. Tra questi il multilateralismo, di cui la Cina continua a professarsi un grande sostenitore.
Multilateralismo efficiente
L’hanno ribadito Jie Xiong e Hui Yuan, professori della Scuola del Comitato centrale del partito comunista cinese, Accademia nazionale di government, nella tavola rotonda con Peter Jungen e Lawrence Midland, esperti di politica e finanza cinese. I quali avvertono, a loro volta: se la Cina si chiude, tutti perdiamo qualcosa.
Per Jie Xiong le istituzioni multilaterali negli ultimi quarant'anni hanno realizzato molti risultati, ma il sistema è stato creato ottant’anni fa, per renderlo più efficiente è necessario rimetterci mano, ottimizzandolo, senza cancellarlo. «È tempo di coinvolgere anche altri Paesi, quelli del Sud del mondo, e altri più piccoli oltre ai big». Soprattutto, le riforme devono servire, devono essere win win. I giovani devono essere coinvolti perché tutto ciò riguarda il loro futuro.
Il nodo investimenti
Abbiamo molti ostacoli. E problemi, per questo la Global development inititative lanciata dal segretario generale Xi Jinping è la risposta. Una reazione multilaterale che coinvolga non solo Stati ma anche gruppi di interesse e filoni emergenti come la digital economy.
Per Hui Yuan a fine 2020 la Cina ha dimostrato tutta la volontà di rinegoziare ad esempio gli investimenti reciproci con la Ue, per questa ragione è opportuno, ora che l’economia cinese si sta riprendendo, che si riparta.
C’è stata infatti una ripresa nel primo trimestre, questo è il tempo giusto .Robusta crescita del 4.5% nel primo trimestre, l’Onu parla del 5.3% nel 2023 contro l’FMI che valuta l’apporto alla crescita globale atteso entro il 34.9 per cento.
Hui sottolinea come la Cina stia promuovendo l’efficienza del mercato e la cooperazione.
Per Peter Jungen «la social market economy cinese ha realizzato il 28% della crescita globale, ma il 60% della produzione per l’export è stata innescata per il 13% da investimenti stranieri. Inoltre i sono dimezzati, circa del 50%. La Cina dovrà frenare questa tendenza perché il suo futuro è nell’innovazione».
Il ruolo della tecnologia
Ci sono nuvole all’orizzonte, la deglobalizzazione potrebbe prevalere, infatti si parla di eccesso di dipendenza dalla Cina.
«Ma chi è dipendente da chi?», si chiede Lawrence Midland, «basta vedere al caso della dipendenza energetica dalla Russia. Ciò che è necessario fare, è cercare di sincronizzare i due sistemi, altrimenti....».
Nell’immediato, infatti, un grande ostacolo è la restrizione dell’import-export di tecnologia, nel timore persistente di un dual use tra utilizzo per scopi civili/militari,ma secondo i due esperti cinesi Jie e Hui «non ha senso affrontare i problemi in questo modo, non è questione di corsa all’egemonia tecnologica».
No Huawei, no Google map. Un invito finale, molto diretto, è quello a non utilizzare come armi ogni scoperta scientifica utile a tutto il pianeta.
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