Un nomade tra imprese e diplomazia in servizio per l’Italia, brand che crea valore
Classe 1972, l’ambasciatore d’Italia in Kazakistan appartiene alla nuova generazione di diplomatici italiani. Quella che si è formata non soltanto nei percorsi tradizionali fra consolati e ambasciate, ma anche grazie all’esperienza nel mondo delle imprese
di Paolo Bricco
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«C’è una cultura nomadica nel cuore dell’Asia centrale, ospitale ed aperta, in grado coniugare identità e diversità, chiavi interpretative fondamentali per la modernità. Questa regione è stata spesso al centro del mondo. In Kazakistan convivono 142 etnie e 18 confessioni religiose. L’Islam, che è la più diffusa, si è innestata nel forte sostrato religioso del tengrismo, un antico culto costituito da elementi di sciamanesimo e animismo, totemismo e adorazione della natura e degli antenati. Dal 2003 il Kazakistan ospita ogni tre anni il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali. All’edizione di quest’anno, il 14 settembre scorso, è intervenuto anche papa Francesco. Pochi giorni fa, qui ad Astana, si è tenuto il vertice del C.I.C.A., la Conference on Interaction and Confidence Building Measures, e il Consiglio dei Capi della Comunità Stati indipendenti. C’erano undici capi di Stato, fra cui anche Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, due vicepresidenti e cinque ministri. Un momento di grande visibilità per questo Paese».
Marco Alberti – classe 1972 – appartiene alla nuova generazione di diplomatici italiani. Quella che si è formata non soltanto nei percorsi tradizionali fra consolati e ambasciate, ma che ha la sua ragion d’essere nell’esperienza nel mondo delle imprese e che, proprio per questo, sviluppa un pensiero articolato e sospeso fra la diplomazia classica e l’analisi culturale e multidisciplinare, il rapporto con le élite non solo politiche e la gestione dei problemi economici più complessi. Una commistione e una complementarità che hanno provato a dotare l’Italia, nelle zone di confine del mondo, di rappresentanti in grado di muoversi sui dossier più delicati per gli interessi economici e strategici del Paese. Riducendo così il nostro storico gap rispetto ai francesi, ai tedeschi e agli americani.
Siamo ad Astana, capitale del Kazakistan, da Qazaq Gourmet, un ristorante in cui la tradizione viene proposta in una chiave ammorbidita e modernizzante: i capisaldi della cucina kazaka (l’utilizzo delle carni di cavallo, pecora e montone) sono confermati, ma sono resi meno selvaggi e meno ancestrali, più rotondi al palato delle nuove generazioni kazake occidentalizzate e dei molti imprenditori e manager di grandi gruppi stranieri attivi nel business dell’energia, dei minerali e delle terre rare che operano in questo quartiere di Astana. Non sono distanti gli uffici dell’Eni, che è in Kazakistan dal 1992.
Prima di leggere il menù (scritto in kazako, russo e inglese) Alberti mi indica particolari di questo ambiente che unisce la formalità nell’arredamento standard internazionale a elementi tradizionali kazaki: «Là in fondo hanno costruito una vera e propria jurta, la tenda che per millenni è stata usata dalle tribù di queste terre e dove ancora vivono i nomadi che hanno scelto di non trasferirsi nelle città. L’ospitalità appartiene da sempre al Dna del nomade. È un elemento culturale tramandato sino ad oggi. L’ospite è sacro, perché inviato da Dio, chiunque sia. Va accolto con rispetto e senza esitazione. Specialmente, come qui accadeva un tempo, se bussava nell’inverno della steppa, a quaranta gradi sottozero, dove una porta chiusa significava morte sicura».
Il primo piatto è una insalata di fichi e agnello, che viene servita con una guarnizione di fragole e lamponi. Insieme il cameriere porta le bevande classiche che accompagnano i cibi kazaki: il latte di cammella e il latte di giumenta. Il primo è più delicato. Il secondo è fatto fermentare a lungo, quindi ha acquisito una acidità alcolica. Alberti è di Cesena. La sua vitalità romagnola è resa più controllata dall’abito del diplomatico. «Sono nato in Congo, dove mio padre Arturo, obiettore di coscienza, faceva il medico pediatra in un villaggio sul lago Kivu chiamato Bukavu. Mia madre Valeria, che era una insegnante delle scuole superiori, lo aveva seguito in Africa. Allora il servizio civile durava due anni. Quasi cinquant’anni dopo, negli stessi luoghi sarebbe morto il mio collega e amico Luca Attanasio. Devo confessare che io non ho mai avuto il mal d’Africa. Forse perché siamo rientrati subito a Cesena, dove ho frequentato tutte le scuole e dove sta la mia famiglia. E, anche dopo la laurea in legge a Bologna, all’ingresso in diplomazia, non ho avuto esperienze professionali in quel continente. Ho lavorato in Argentina, all’ambasciata italiana a Buenos Aires, dove ho conosciuto mia moglie Lucia, e poi negli Stati Uniti, al consolato di New York».
Lucia è argentina e, per parte di madre, ha origini nella componente cristiano maronita libanese. La sua famiglia, che è culturalmente laica, appartiene allo stesso ampio ceppo di Bashir Gemayel, il presidente del Libano. Lucia e Marco hanno tre figli: Isabel, dieci anni, Lucas, otto, e Blanca, cinque. «Io – spiega Alberti – ho sempre avuto l’impulso al nomadismo e alla ibridazione delle esperienze culturali e professionali. La diplomazia è un lavoro, ma anche una forma di vita, che consente di coltivare questa vocazione. L’Emilia-Romagna ha un’importante tradizione diplomatica. Molti ambasciatori italiani provengono da lì, così come illustri rappresentanti della diplomazia vaticana; Achille Silvestrini e Pio Laghi, entrambi romagnoli, o Agostino Casaroli, piacentino, figure di grande rilievo nella diplomazia d’Oltretevere».
I camerieri portano in tavola una birra kazaka, che ha sul marchio una aquila, simbolo onnipresente della cultura cacciatrice e guerriera delle tribù. Quindi, una insalata di manzo con avocado. Astana ha un milione e duecentomila abitanti e un profilo urbanistico floridamente inquietante per lo stile arabo e cinese, americano e russo conferito ogni volta dai finanziatori stranieri a ciascun nuovo quartiere. La sua scelta come capitale nel 1997 e il suo successivo sviluppo, nel cuore della steppa della Siberia del Sud, sono dovuti al presidente Nursultan Nazarbaev, capo carismatico del partito comunista kazako ai tempi della dissoluzione dell’Urss e primo presidente della nazione. Oggi è in ombra, per l’ascesa del nuovo presidente Kassym-Jomart Tokayev, uomo forte del Kazakistan, al quale è toccato gestire la grave crisi di gennaio e i sanguinosi scontri che hanno causato 227 morti. Le proteste, scoppiate nell’ovest del Paese a causa dell’aumento del prezzo del carburante da autotrazione, sono degenerate in scontri, soprattutto nella ex capitale Almaty, dove l’ordine è stato ripristinato anche grazie all’intervento di un contingente militare della CSTO (Collective Security Treaty Organization), in gran parte costituito da truppe russe.
In tavola arriva il “beshbarmak”, un piatto di carne di cavallo bollita, pasta di grano tenero e salsa di cipolle. Per apprezzarlo, a un palato occidentale, serve non poca birra. Alberti ha lavorato all’Enel: «Sono stato distaccato alcuni anni in azienda. Mi sono occupato di dossier internazionali, in parte a diretto riporto dell’amministratore delegato Francesco Starace. Una esperienza straordinaria, resa possibile dalla Legge Frattini sulla mobilità pubblico-privato. Ho cercato di interpretarla mettendomi in gioco in prima persona, senza nessuna protezione, con molta determinazione e con il desiderio di imparare cose nuove da riportare in diplomazia. Una tappa importante del mio percorso professionale, anch’essa all’insegna del “nomadismo”».
È stato poi razionale che, rientrato in carriera diplomatica, Alberti sia stato mandato nel settembre del 2021 in Kazakistan, che è uno degli snodi energetici dell’Eurasia. Qui ci sono petrolio e metano, carbone e ferro, uranio e oro, zinco e manganese. Questo Paese, snodo energetico corposo e ben avviluppato, ha anche una evidente rilevanza geopolitica, con 6.800 chilometri di confini con la Russia e 1.800 di confine con la Cina.
«Oltre alla centralità energetica e geopolitica del Paese – dice Alberti, mentre in tavola viene portata una bistecca di cavallo accompagnata dal “baurzhak”, tipico pane locale – esiste in Kazakistan una grande domanda di Italia, che vogliamo trasformare in una partnership strategica di lungo periodo. Siamo uno dei maggiori investitori e l’interesse per il nostro Paese è crescente. Le nostre rassegne di promozione integrata riscuotono successo e l’imminente apertura dell’Istituto italiano di cultura ad Almaty, primo in Asia centrale, ci consentirà di valorizzare al meglio anche il nostro soft power e il lavoro su alcuni dossier. Tra questi, il sostegno alla candidatura Roma Expo 2030, centrata su rigenerazione urbana e nuovo rapporto persona-territorio, temi cruciali per il Kazakistan e per gli altri centro-asiatici. Una sfida da vincere insieme».
A fine pasto viene servito un tè nero con bacche e con diversi tipi di miele. Conclude Alberti: «La complessità di oggi richiede alla diplomazia competenza e flessibilità. Nel nostro lavoro, è richiesta capacità di analisi, ma anche pragmatismo operativo. Abilità di innovare sapendo rispettare e valorizzare la nostra tradizione, che è fatta di eccellenza. Siamo chiamati a creare valore, e a farlo connettendo esperienze diverse; internazionalizzando le nostre piccole e medie imprese e aiutando quelle più grandi a crescere; aprendo nuovi canali ma anche utilizzando il soft power di cui il nostro Paese è dotato. L’Italia è un valore che crea valore. La diplomazia contribuisce a rafforzare il posizionamento dell’Italia in un mondo digitale, connesso e deglobalizzato, nel quale avvertiamo tutti l’esigenza di modelli di sviluppo più collaborativi e aperti al dialogo».
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