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Un nuovo Manhattan Project per la guerra al Covid-19

La storia del 33enne Tom Cahill, che ha dato vita a un network segreto di scienziati, politici e investitori americani per sconfiggere il virus.

di Marco Valsania

(REUTERS)

6' di lettura

NEW YORK - Tutto è nato da un giovane medico-finanziere accampato in un appartamento a Boston. Che ha messo assieme una squadra di scienziati, compreso almeno un premio Nobel. Ha aggiunto qualche politico il cui biglietto da visita apre porte anche in quella fortezza spesso impervia a critiche o suggerimenti che è l’amministrazione Trump. E mobilitato un manipolo di influenti miliardari e investitori, che ne garantiscono risorse e legami industriali. Da tempo Tom Cahill conta tra i suoi sostenitori anche il miliardario Jim Pallotta, co-proprietario e presidente della squadra di calcio della Roma.

Questa inedita alleanza trasversale negli Stati Uniti ha preso di petto la sfida del coronavirus. E ha ben altre ambizioni di un’armata Brancaleone: vuole diventare il Manhattan Project della guerra alla pandemia, capace di dare un contributo cruciale alla sua sconfitta. È particolarmente insolito il patto, perché in un clima di polarizzazione e polemiche ha superato anche barriere ideologiche, coinvolgendo leader e accademici liberal e vicini al Partito democratico come esponenti repubblicani.

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L’iniziativa segreta
Soprattutto, l’iniziativa aveva finora operato lontano dai riflettori, alla stregua del Manhattan Project - lo sforzo scientifico-militare pluriennale per fermare la Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale che portò allo sviluppo degli ordigni atomici. Da inizi modesti, l’originale Manhattan Project crebbe in uno sforzo combinato con raggio d’azione internazionale capace di mobilitare 130.000 persone, molteplici siti e impianti, e 23 miliardi in dollari odierni.

In questo caso, il primo prodotto formulato è stato un documento di 17 pagine che è riuscito ad arrivare alla Casa Bianca, con un pacchetto di progetti. I quali vorrebbero essere “esplosivi”, ma in modo ben diverso dall’atomica: l’obiettivo è scovare e vagliare le idee migliori e spesso meno ortodosse, ovunque nel mondo, per lottare contro il nuovo nemico globale. Un esempio su tutti: nel documento viene ipotizzato il trattamento di pazienti con veri e propri bombardamenti di farmaci in passato usati contro l’Ebola, a dosaggi molto superiori a quelli finora ipotizzati.

Scienziati contro il Covid
Ma, al di là e più di singole idee, è il metodo che conta. Il sipario su quello che ufficialmente si chiama Scientists to Stop Covid-19 è stato sollevato dal Wall Street Journal. Ha di sicuro caratteristiche che potrebbero rivelarsi preziose: appare come uno sforzo coordinato tra privato e pubblico fondato su ricerche scientifiche. Per cercare di accelerare la caccia a possibili soluzioni alla pandemia globale, sia terapie che trumenti e strategie per poter immaginare la transizione verso un new normal. Simili approcci sono sembrati finora spesso difettare a Washington, incapace di unire davvero politica, scienza e business in una crociata unica contro la malattia. Allo stesso tempo, l’esistenza stessa del gruppo, nato quasi per caso, evidenzia un vuoto e unae precarietà di leadership nazionale e internazionale.

Meeting virtuali e studi
Il lavoro del gruppo ha preso le mosse da una analisi e lettura di centinaia di studi e ricerche scientifiche da ogni angolo del mondo. Da questa mole di pagine e dati sono state filtrate le ipotesi considerate man mano più promettenti. Ciascun partecipante al progetto ha vagliato anche una ventina di densi documenti al giorno, dieci volte i volumi in periodi di “pace”, di normale attività. Meeting virtuali e videoconferenze, scambi intensi di messaggi e telefonate si sono poi susseguiti per discutere il da farsi con le idee salite alla ribalta.

Il giovane venture capitalist
Alle spalle dell’intera iniziativa è il 33enne Tom Cahill, un venture capitalist di Boston schivo ma con alle spalle già una carriera che ha saputo far fruttare nella finanza e nella politica come nella medicina. Cahill ha studiato medicina alla Duke University, dove era impegnato nella ricerca su malattie genetiche rare. Ma attraverso il padre d’un amico finì per accettare un incarico a Boston presso una società di investimento con ragguardevole pedigree, il Raptor Group fondato da Pallotta nel 2009. Qui, in un corridoio geografico dove si sposano alta tecnologia, ricerca e finanza, unì la propria passione per la scienza a quella appena scoperta per gli investimenti. Presto si mise in proprio, dando vita alla Newpath Partners con 125 milioni di dollari affidatigli da un manipolo di celebri magnati hi-tech e non, da Peter Thiel a Steve Pagliuca, co-presidente di Bain Capital, a Pallotta stesso.

Una telefonata speciale
L’ultima iniziativa è nata da una sua conference call a marzo, dove Cahill aveva deciso di rispondere a domande di uomini d’affari sul virus. Ebbe un enorme successo che, a suo dire, lo colse di sorpresa: alla chiamata si iscrissero anche collaboratori del vice-presidente Mike Pence e dirigenti della lega di basket Nba. Gli diede la spinta finale per il suo Manhattan Project. Annunciò proprio in quell’occasione di aver ormai deciso di abbandonare la sua attività di investimento per dedicarsi alla ricerca di cure. Di lì a poco fioccarono sostegni e adesioni.

Sponsor finanziari e scienziati
Tra gli sponsor nell’alta finanza spuntarono, oltre a Thiel, Pagliuca e Pallotta, anche Michael Milken. Come protagonisti presto si sono aggiunti biologi chimici, un neurobiologo, un oncologo, un gastroenterologo, specialisti del sistema immunitario, un epidemiologo e uno scienziato nucleare. Uno di loro è Michael Rosbash, biologo e premio Nobel nel 2017. Un altro è il chimico di Harvard Stuart Schreiber. Altri ancora hanno cattedre a Stanford.

Niente conflitti d’interesse
Le regole per partecipare al gruppo sono rigide, perchè in ballo c’è la credibilità. Nessuno può avere partecipazioni in aziende che sono state identificate come potenzialmente impattate dal lavoro degli scienziati - in tutto tra venti e trenta. Un esponente iniziale del progetto , che aveva detto di non poter garantire la cessione delle proprie quote, è stato estromesso senza tanti complimenti.

Il network politico
Le connessioni politiche - e con l’industria - sono a loro volta state messe a frutto: Pagliuca ha preso, rivisto e passato il documento al Ceo di Goldman Sachs David Solomon, che lo ha inoltrato al Segretario al Tesoro Steven Mnuchin. Prima ancora, Cahill attraverso Schreiber era entrato in contatto con Edward Scolnick, ex capo della ricerca presso la farmaceutica Merck. E attraverso il finanziere democratico Brian Sheth, Cahill entrò in contatto con il co-chairman del comitato nazionale del partito repubblicano, Thomas Hicks, compagno di caccia di Donald Trump Jr. Presto una linea diretta fu stabilita con il braccio destro del vice-presidente Mike Pane, Nick Ayers, e con regulators delle varie agenzie federali mediche. Oggi tutti consultano il gruppo di Cahill. Esito di questa particolare attenzione fu, ad esempio, una deroga concessa a tempo di record dalla Fda Usa alla produzione in Irlanda di farmaci basati su anticorpi monoclonali, che attaccano le cellule del virus, alla Regeneron Pharmaceuticals. Una simile autorizzazione abitualmente richiede mesi di attesa.

L’agenda
Il documento confidenziale fatto arrivare alla Casa Bianca sarebbe stato ben accolto. I vertici dell’Istituto Nazionale della Sanità hanno indicato di concorrere con numerose raccomandazioni. Tra queste, la necessità di ridurre ostacoli burocratici e regolamentari nella sperimentazione di medicinali e vaccini. Un’idea prescrive di ridurre a una sola settimana gli studi clinici per farmaci. Alcuni nuovi e più agili protocolli sono già stati adottati dalla Fda, l’agenzia per il controllo dei farmaci, e dal Dipartimento dei veterani di guerra. Ancora: una strategia prevede di comprare medicinali la cui efficacia è ancora da mettere alla prova allo scopo di incentivarne la produzione indipendentemente dal fatto che si rivelino redditizi. Alcune idee riguardano anche una futura fase di riapertura dell’economia: da un esame sulla saliva a nuove app nazionali per gli smartphone che richiedano ali utenti di riportare quotidianamente la presenza o meno di una lista di sintomi associati con il coronavirus.

Bocciati anti-malarici e test sugli anticorpi
Il gruppo non teme tuttavia di esprimersi contro idee altrimenti popolari - dentro e fuori la Casa Bianca - quando le ritiene inefficaci o dannose. Ha liquidato fin da subito i farmaci anti-malaria, clorochina e idrossiclorochina, come inefficaci. E ha giudicato inefficaci i test sugli anticorpi quale strumento per riaprire business e riammettere personale al lavoro - definita la «peggior idea mai sentita» da Ben Cravatt di Scripps Research, biologo e chimico che avverte come l’esposizione al virus non significhi che non possa essere trasmesso e che potrebbe spingere persone a infettarsi pur di poter tornare al lavoro.

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