Un nuovo meridionalismo per un’Italia più unita
Provare a formare una nuova generazione di studiosi del Mezzogiorno e di amministratori attenti alla soluzione dei tanti problemi mai risolti di quest’area del paese, animati da un meridionalismo aggiornato rispetto alle sfide globali e consapevoli delle difficoltà relative ad un PNRR da calare sui territori
di Flavio Felice
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Provare a formare una nuova generazione di studiosi del Mezzogiorno e di amministratori attenti alla soluzione dei tanti problemi mai risolti di quest’area del paese, animati da un meridionalismo aggiornato rispetto alle sfide globali e consapevoli delle difficoltà relative ad un PNRR da calare sui territori. È questo l’obiettivo principale della Scuola estiva, promossa dal Centro Studi per i Problemi del Mezzogiorno, realtà che nasce nell’ambito delle attività del “Parco Letterario Benedetto Croce e l’Abruzzo”. La Scuola, nel nome di Croce e di Giuseppe De Thomasis, si terrà dal 17 al 23 luglio a Montenerodomo, in provincia di Chieti, paese ai piedi del massiccio della Maiella, che ha dato i natali a Benedetto Croce e a Giuseppe De Thomasis, rispettivamente, uno dei più influenti filosofi del Novecento e uno dei primi meridionalisti dell’epoca moderna e grande riformatore di un Meridione preda delle istituzioni feudali.
Del comitato promotore della Scuola fanno parte alcuni docenti delle Università di Chieti/Pescara, Teramo, L’Aquila, Napoli Federico II, Campobasso; il Parco della Maiella; la Fondazione Brigata Maiella; il Paesaggio Culturale Italiano, gestore dei Parchi Letterari; il Comune di Montenerodomo; il Parco Letterario Benedetto Croce. Un consorzio di docenti, amministratori ed enti che da diversi anni è impegnato nella promozione di una nuova cultura del meridionalismo e nel rilancio delle aree interne.
La Scuola si rivolge ai laureandi e ai dottorandi e intende dar vita ad un inedito confronto tra docenti, studenti, amministratori e imprenditori che possa suscitare un dibattito critico nel campo della scienza economica e politica, della riflessione storica, oltre che dell’analisi delle questioni amministrative, così da offrire un contributo originale al dibattito pubblico sui problemi del Mezzogiorno e delle aree interne.
Al centro del programma della Scuola è posta la volontà di ricostruire la storia del Mezzogiorno, dal dopoguerra ad oggi, e del pensiero meridionalista che l’ha innervata, offrendo uno sguardo interessato sulla traiettoria dell’Abruzzo, dalla ricostruzione allo sviluppo dell’ultima fase del XX secolo, ma senza venature campanilistiche. L’Abruzzo come parte di una storia più grande, che contemporaneamente è italiana, europea e meridionale.
Una particolare attenzione sarà riservata alla sorte delle aree interne meridionali, in particolare quelle della montagna appenninica, falcidiate dallo spopolamento, dall’impoverimento della rete dei servizi alla persona, dal peggioramento della qualità della vita; un peggioramento che interessa la dimensione politica, economica e culturale. Aree sulle quali si accaniscono il degrado del suolo, in preda a pesanti fenomeni di consumo del territorio; eventi calamitosi come terremoti e dissesto idrogeologico. Accanto a tali fenomeni, più o meno naturali, anche sulle aree interne si è abbattuta la pandemia, la quale ha fortemente minato un territorio già così fragile e provato, compromettendo ulteriormente la sua capacità di resilienza, per tornare ad esprimere una cultura profonda che oggi invece sembra relegata al mero sentimento del ricordo, espresso spesso in improbabili rievocazioni estive.
Con particolare riferimento al tema del meridionalismo, nel lungo processo di state-building, seguito all’unificazione, il discorso sul Meridione accomuna tutte le principali culture politiche italiane: socialista, liberale e popolare.
Sono infatti troppo evidenti i problemi sociali ed economici che esso porta con sé per poterlo derubricare come un tema fra i tanti nell’agenda dei governi liberali prima e repubblicani poi. Senza dimenticare la “parentesi” autoritaria del fascismo, secondo la nota interpretazione crociana, che, come tutti i regimi centralizzati, si limita ad estrarre risorse dai territori periferici per poter inseguire i suoi obiettivi di controllo sul paese.
Oggi il valore dell’unità nazionale sembra appannato, anche per l’emergere di filiere produttive capaci di scomporre e di ricomporre i sistemi economici nazionali, e di legare fra loro territori e comunità unicamente secondo la logica delle regole dell’economia globalizzata. Per tale ragione, la Scuola terrà in grande considerazione le voci e le concrete proposte di intellettuali e uomini politici di primo piano (Croce, Nitti, Gramsci, Sturzo, Saraceno) che hanno provato a “pensare il Mezzogiorno” come una grande potenzialità per realizzare davvero l’unità d’Italia, come un dovere di giustizia e di solidarietà per le classi dirigenti e come la misura critica delle aspirazioni di un popolo a diventare finalmente protagonista della propria storia dopo secoli di sudditanza più o meno passiva.
Flavio Felice
Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche
Dipartimento Scienze Umanistiche, Sociali e della Formazione
Università del Molise (Campobasso)
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