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Un nuovo modello di imprenditorialità: l'eredità di J. Ratzinger a partire dal dialogo tra fede e ragione

È di grande interesse il dibattito che si sta sviluppando sulla legacy di Benedetto XVI, rinnovando, in particolare, la riflessione sul rapporto tra fede e ragione

di Francesco Cicione

(REUTERS)

5' di lettura

È di grande interesse il dibattito che si sta sviluppando sulla legacy di Benedetto XVI, rinnovando, in particolare, la riflessione sul rapporto tra fede e ragione. Alcuni lo qualificano come dialogo, altri lo promuovono a connubio necessario. In ogni caso, il tema è di decisiva importanza per chi, come me, è impegnato, da imprenditore di formazione cattolica, nelle grandi sfide di transizione della nostra epoca che portano in dote una crescente domanda di “senso”, al limitare della delicata frontiera tra sapienza e scienza.

Da imprenditore, sono stati determinanti, per me, due insegnamenti ricorrenti nel pensiero di Joseph Ratzinger che ho approfondito lungo tutto il corso della mia vita all'ombra di un altro grande teologo come Costantino Di Bruno.

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Due insegnamenti che precedono il pensiero ed il magistero sociale ed economico, che pure è così ricco e fertile.

Il primo insegnamento ricevuto è che i “fini ultimi” sono fondamentali per orientare la quotidianità personale, aziendale, manageriale, organizzativa, finanziaria ed industriale. I “fini ultimi” modificano alla “sorgente” il modo di pensare e vivere l'impresa, la visione che la sostiene, il modello di business che la sorregge e la relazione con i vari stakeholder di riferimento, interni ed esterni. I “fini ultimi” donano senso profondo ed autenticità vera al divenire incessante della vita e delle esperienze che le sono proprie. L'utilità individuale cede il passo all'utilità comune. Anzi, di più, all'utilità ultima. Ciò esige, però, che l'assoluto resti assoluto e che il relativo resti relativo. L'assoluto nulla toglie alla libertà individuale poiché liberamente lo si può accogliere o rifiutare. Ma se l'assoluto si relativizza cessa di essere assoluto, impoverendo tutto e tutti. Oggi vi è un costante tentativo di relativizzare l'assoluto. Dell'assoluto si ha paura, lo si vive come limite ed imposizione, lo si contesta e lo si combatte in quanto tale. Esso è, invece, un'opzione di ampiezza e libertà. Per chi vuole.

Il secondo, e forse più importante, insegnamento è che la fede, per il Cristiano, non è un concetto tra concetti. Se fosse solo un concetto tra concetti non sarebbe fede ed avrebbeil valore relativo (oggettivo e soggettivo) di ogni altro concetto: nulla di più, nulla di meno. Essa, invece, è per il Cristiano verità eterna (e perennemente nuova) che si è fatta (e si fa ogni giorno) carne, persona storica. Di più: essa è persona storica e vivente da incontrare, amare ed assumere. È persona storica Cristo immagine del Dio Padre. È persona storica lo Spirito Santo che illumina. Il Teologo che insegna, il Pastore che conduce. È persona storica anche l'Imprenditore, il Manager, il Lavoratore, l'Investitore. Lo è il Cristiano per il quale l'incontro con la fede è vera esperienza personale che riguarda il cuore e lo spirito prima ancora che la mente e la ragione. Per il Cristiano l'incontro con la fede è certezza che non si forma nelle dispute dialettiche. La fede si dona, la fede si accoglie. E solo dopo essere stata donata ed accolta, interviene il soccorso della ragione che aiuta a penetrare, spiegare, comprendere e vivere il “mistero del dono ricevuto” per lasciarsi da esso rigenerare.

Risulta fin troppo evidente come nella adesione o nel rifiuto di questa impostazione, si incardinano due diverse concezioni del dialogo tra fede e ragione e quindi della Storia, della modernità, del futuro, del ruolo della Chiesa e del Cristiano e, dunque, anche dello stesso “fare impresa” che diventa, così, “mezzo” e non “fine”. L'accoglimento di questi due insegnamenti sovverte e supera l'idea abituale di rapporto tra fede e ragione e, con esso, ogni relativa esegesi, ermeneutica, epistemologia, antropologia, sociologia, dialettica e tradizione di pensiero. Semplicemente non ha senso invocarle. Si tratterebbe di una inutile sofisticazione, poiché, relativizzerebbe l'assoluto, alimentando vizi di sostanza e di metodo, unitamente ad ambiguità, diluizioni e banalizzazioni subdole e perniciose per quanto sofisticate.

Anche l'antinomia dialogica tra “pensiero forte” e “pensiero debole” assume una luce nuova. Poiché, in questo orizzonte, fede e ragione si pongono, evidentemente, su due distinti piani ontologici, irriducibili l'uno all'altro. La fede, infatti, non è certamente contraria alla ragione, ma quest’ultima è pensata a supporto della fede stessa, non in sua alternativa.

Nel modello di dialogo tra fede e ragione proposto da Ratzinger, la fede è autosufficiente e vive di vita propria. La fede illumina. La ragione si sforza di comprendere poiché siamo “oltre”, ben “oltre”. “Oltre la mente” si potrebbe dire. Siamo all'incontro tra “l'io particolare” e “l'io assoluto”. Siamo all'incontro tra persone (l'Uomo e Cristo). Ed ogni “incontro” avviene solo per riconoscimento reciproco, un riconoscimento che a volte diventa innamoramento. “Non ho bisogno di tempo per sapere come sei. Conoscersi è luce improvvisa” scriveva Pedro Salinas in una sua celebre poesia. “Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore fino a che non riposa in te”, spiegava Agostino nelle Confessioni.

Papa Benedetto XVI, ha testimoniato fino all'ultimo questo suo convincimento, che si può condividere o non condividere, comprendere o non comprendere, ma che egli mai ha taciuto.

“Gesù ti amo” sono state le sue ultime parole che nella loro potenza e semplicità testimoniano, anche nell'ora finale, il bisogno di manifestare, esprimere e vivere il rapporto con una persona storica, o meglio ancora, tra persone storiche, legate dal vincolo dell'amore.

E poi ancora le conclusioni del suo testamento spirituale: “Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l'esegesi della Sacra Scrittura) dall'altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d'altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità. Sono ormai sessant'anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo”.

È in queste certezze che trova fondamento l'eredità di Joseph Ratzinger e si incardina il costante, generoso ed originale sforzo di confronto aperto che egli ha continuamente posto in essere tra la natura escatologica, sapienziale e spirituale della “rivelazione” cristiana e le diverse ed interconnesse dimensioni in cui si sviluppa il cammino dell'umanità: culturale, scientifica, sociale, antropologica, ontologica. L'Enciclica “Spe Salvi”, è paradigmatica in questo senso. Radicale nel denunciare “le menzogne segrete con cui l’uomo inganna sé stesso” e nel ricordare che “senza Dio la Scienza mai potrà portare alla costruzione della società perfetta”. Ma, nel contempo, colta, rispettosa e raffinata (fino all'elogio critico di Marx) nella ricerca del dialogo. L'approccio di Joseph Ratzinger, ingiustamente tacciato di intransigenza, radicalità e finanche oscurantismo, si propone, invece, come quanto di più riguardoso e liberante possa essere immaginato in ordine al dialogo tra credenti e non credenti. Poiché chiarisce i distinti piani di competenza di fede e ragione, di assoluto e relativo, e, nella trasparenza dei rispettivi domini, si offre, con dolcezza, come dono e testimonianza di una via possibile. Senza, tuttavia, voler convincere di niente o imporre verità e chi non le riconosce come tali. La vera fede è libera e liberante.

Siamo pronti a questo nuovo modello di dialogo tra fede e ragione?

Nella prospettiva dell'innovazione armonica, che interpreta l'armonia come “canone” e “metodo”, come “obbedienza” e “relazione”, come “amore” ed “incontro”, questo itinerario è essenziale.

È per questo che riteniamo giusto approfondire una tematica così alta e delicata anche nella nostra comunità di impresa.

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