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Un Osservatorio per il ricambio generazionale e qualitativo in aiuto alle donne per crescere in azienda

La recente scelta di affidare ad una manager la responsabilità gestionale di una delle principali aziende pubbliche risponde ad una precisa volontà politica di porre rimedio a un vulnus che abbiamo evidenziato in queste colonne in un precedente editoriale (si veda «Il Sole 24 Ore» di giovedì 11 maggio scorso). Così come è stata una scelta politica quella che ha portato la Francia a emanare nel dicembre del 2021 la legge cosiddetta «Loi Rixain».

di Massimo Milletti e Alessandro Minichilli

(Sergey Nivens - stock.adobe.com)

3' di lettura

La recente scelta di affidare ad una manager la responsabilità gestionale di una delle principali aziende pubbliche risponde ad una precisa volontà politica di porre rimedio a un vulnus che abbiamo evidenziato in queste colonne in un precedente editoriale (si veda «Il Sole 24 Ore» di giovedì 11 maggio scorso). Così come è stata una scelta politica quella che ha portato la Francia a emanare nel dicembre del 2021 la legge cosiddetta «Loi Rixain».

La quale fissa, per le aziende con più di mille dipendenti, delle precise quote di presenza femminile nelle posizioni dirigenziali: 30% entro il 2026, 40% entro il 2029. Legge ambiziosa, con obiettivi sfidanti, tant’è che la definizione da parte del legislatore del profilo dirigenziale ha i contorni sfumati.

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Si tratta dunque di rimettere in scena il copione usato per i CdA. Sperimentato con successo, almeno nei numeri. E pur in assenza di una legge italiana in merito, i principali gruppi quotati si stanno muovendo nella stessa direzione, ingaggiando le proprie organizzazioni del personale in una vera e propria caccia alle manager talentuose. Paragonabile, sotto certi aspetti, alla famosa guerra dei talenti scoppiata a fine degli anni 90.

E per raggiungere i target prefissati, alcune funzioni aziendali vengono progressivamente affidate a manager femminili, scoraggiando gli uomini dal percorrere carriere in ambiti, quali per esempio legale, fiscale, personale, marketing, sostenibilità, spingendoli ad arroccarsi sulle posizioni di business, e a non mollarle. Rendendo quindi particolarmente accidentata la scalata ai vertici aziendali da parte delle donne.

Tutto ciò non fa che evidenziare il fatto che l’obiettivo della parità di genere non è facilmente raggiungibile applicando semplicemente il meccanismo delle quote, in quanto, più che il numero delle opportunità offerte, conta il loro peso e rilevanza. Ma per poter accedere alle posizioni apicali, le considerazioni sul merito delle persone non possono prescindere da una corretta valutazione delle competenze. Esercizio articolato che trova la sua validità nella misura in cui ci sia chiarezza su quelle necessarie per coprire con autorevolezza i singoli ruoli. Tanto più in un contesto economico come quello attuale caratterizzato da un’alta variabilità e imprevedibilità.

È quindi compito delle aziende non solo definire le competenze specifiche, ma saperle modulare in funzione dei cambiamenti del mercato esterno e delle proprie strategie. Ciò comporta che non ci si affidi unicamente alle logiche quantistiche delle quote, ma che ci si focalizzi piuttosto sugli aspetti qualitativi, ampliando il concetto della parità di genere a quello della parità di competenze.

E se da una parte la nomina di Terna sancisce che anche alle donne è consentito l’accesso alle posizioni di vertice di realtà pesanti, dall’altra stimola a verificare se si tratti di un’eccezione o di una virtuosa tendenza. Si profila dunque l’opportunità di aprire un Osservatorio permanente che comprenda un campione significativo di aziende quotate, per monitorare le percentuali di presenza femminile nei comitati esecutivi, vera porta di accesso alle posizioni
di vertice.

Analisi quantitative, che vanno opportunamente abbinate a valutazioni qualitative sull’evoluzione delle competenze. Esse stesse meritorie di un Osservatorio specifico.

Volendo allargare il ragionamento, una riflessione particolare va fatta sulle soft skills, che rivestono una crescente importanza nei criteri di selezione e di valutazione.

Impalpabili, seducenti, opinabili, possono condizionare significativamente le carriere manageriali e pesare sulle scelte. In tale ambito, non sfugge il crescente apprezzamento nei riguardi delle figure femminili, stimate per il loro ampio ventaglio di soft skills.

È chiaro comunque che, per inquadrare correttamente il tema della presenza delle donne nelle posizioni apicali, non si può prescindere dal considerare le dinamiche generazionali. Che evidenziano come il ringiovanimento della classe manageriale stia favorendo lo sviluppo delle quote rosa. Dal campione esaminato emerge infatti che la percentuale di donne nei comitati esecutivi passa dall’8% dei Boomers, al 13% degli X, per poi crescere al 28% dei Millennials. Trend tendenzialmente positivo, ma che va incoraggiato e supportato anche da scelte coraggiose per imprimerne un’accelerazione, con l’obiettivo di volare
a quote alte.

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