La strategia UE

Un piano europeo per i piccoli risparmiatori

Una consultazione delinea i futuri interventi della Commissione nel campo della tutela dei piccoli risparmiatori. Centrale la consulenza.

di Antonio Criscione

(Vittaya_25 - stock.adobe.com)

2' di lettura

La Commissione Europea sta lavorando a una strategia per gli investimenti al dettaglio che intende pubblicare nella prima metà del 2022. È così che la Commissione ha spiegato le finalità di una consultazione aperta l’11 maggio scorso e terminata il 3 agosto. L’intento è quello di realizzare “un’economia al servizio delle persone”, rivedendo a tal fine una serie di strumenti (Mifid, Kid, servizi di pagamento).

All’interno del questionario proposto dalla Ue, ha fatto di nuovo la sua apparizione l’idea del superamento del modello misto di consulenza, in cui il risparmiatore può scegliere tra un modello basato sulle retrocessioni delle case prodotto ai consulenti o uno basato sulla parcella corrisposta da lui al consulente (fee). Già in fase di elaborazione della Mifid2 c’erano state accese discussioni sul punto. Alla fine era stata scelta la soluzione mista. E ancora di recente l’Esma (l’autorità europea per i mercati finanziari) ha suggerito, in un “tecnical advice” sul punto, di mantenere questo modello.

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«Sul tema relativo agli incentivi e alla qualità del servizio di consulenza - sottolinea Roberta D’Apice, direttore affari legali di Assogestioni - riteniamo che non sia necessario introdurre la misura del divieto assoluto alla percezione di incentivi e che, quindi, debba essere preservato l’attuale regime che riconosce al cliente la possibilità di scegliere tra i due modelli ad oggi previsti dalla Mifid2 (fee based model e commission based model)». E sul tema dei conflitti di interessi che spesso vengono associati al sistema degli incentivi, aggiunge: «I requisiti di legittimità degli incentivi previsti dalla direttiva sono tali da assicurare non solo la loro piena trasparenza, ma anche la neutralizzazione dei conflitti d’interesse che potrebbero derivare dalla loro percezione. Diverse invece sono le conseguenze che potrebbero derivare dall’introduzione di un divieto assoluto di incentivi come, ad esempio, una limitazione all’accesso al servizio di consulenza da parte degli investitori retail; una diminuzione della qualità del servizio di consulenza per i piccoli investitori, in termini di servizi a valore aggiunto che nel modello con gli incentivi devono comunque essere prestati in abbinamento al servizio di consulenza; una limitazione del novero di prodotti finanziari acquistabili dagli investitori e degli importi investibili». Ma non è tutto perché «Come sottolineato anche dall’Esma - conclude D’Apice - il divieto di incentivi potrebbe indurre gli intermediari a compensare la perdita degli incentivi con altre forme di ricavo all’interno di accordi distributivi infragruppo, con l’abbandono del modello distributivo ad architettura aperta».

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